Roma – Un volume di un centinaio di pagine, reso tempestivamente disponibile on line in una versione pdf “leggera”. Ed è forse questa la prima risposta – implicita – alle questioni che la “Commissione interministeriale sui contenuti digitali nell’era di Internet” è stata chiamata a studiare con il decreto del 23 luglio 2004 : scaricatelo subito, è il messaggio subliminale del Ministro per l’innovazione, e studiatelo bene.
Il volume si intitola semplicemente Digital Rights Management – Relazione informativa , ma il contenuto va oltre la burocratica rassegna di pareri di parte che qualcuno temeva. Anzi, offre un quadro a tutto tondo dei diversi aspetti della gestione dei diritti digitali.
Si parte con l’esame della questione di fondo. Come si legge nell’introduzione “…un incubo esiste, ed è duplice: i creatori di opere e quelli che le rendono disponibili al pubblico temono che internet e le tecnologie digitali possano distruggere il loro controllo sui contenuti, permettendo alla pirateria di rovinarli; i consumatori temono un mondo in cui ogni contenuto è pay-per-use, difficile da fruire e legalmente rischioso da maneggiare”.
Partendo da queste premesse, le indicazioni che nascono dal lavoro della commissione sono quelle in qualche modo anticipate dal suo presidente, Paolo Vigevano, nell’ intervista a InterLex del 10 novembre scorso: “Sostanzialmente si tratta di vedere i dispositivi di Digital Right Management come attuativi di un contratto tra il produttore e l?utente finale” aveva detto Vigevano “…Personalmente non credo che esistano ambiti in cui confinare a priori gli aspetti della proprietà intellettuale, e d?altra parte il contratto che si va a sottoscrivere deve essere chiaro”. E ancora: “C’è un problema di trasformazione: il grande tema è la trasformazione dell’industria culturale, ed è questa la base delle nostre discussioni. Tutto va inquadrato in questo contesto, perché altrimenti ci si limita a guardare le giuste iniziative di tutela dei prodotti dell’ingegno secondo le modalità tradizionali e non ci si rende conto delle evoluzioni e delle trasformazioni che questo settore sta subendo… E c?è chi resiste all?innovazione per difendere posizioni di intermediazione a volte inutili”.
Per il resto, non c’è altro da fare che scaricare il testo e leggerlo con attenzione. Sapendo però in partenza che ha due limiti: come precisa una “nota metodologica” iniziale, lo studio è sostanzialmente limitato ai problemi dei contenuti distribuiti via internet e non considera il settore televisivo (satellitare e digitale terrestre). Forse è un po’ troppo sbrigativo ridurre la questione dei diritti TV al problema della pirateria delle smart card e le vicende di Sky Italia sono un esempio molto evidente dei rischi che la diffusione dei contenuti può correre anche in questo campo, con un’evidente limitazione dei diritti degli utenti.
Però viene trattato un settore nuovo, quello dei contenuti di fonte pubblica e dei beni culturali, che si appresta a diventare uno dei punti focali dell’internet nel futuro prossimo.
Il secondo, e non trascurabile limite della relazione è la mancanza di una conclusione sostanziale, di qualche proposta che può venire proprio dalle informazioni contenuto nello studio. Ci si aspetta, insomma, una “seconda parte” che attui “il compito di elaborare proposte di iniziativa legislativa”, come prevede il decreto interministeriale che ha istituito la commissione.
Così resterà deluso chi aspettava qualche concreta indicazione per le future scelte normative. Ma, a ben guardare, è una conclusione molto difficile perché, come lascia intendere la relazione stessa, c’è un abisso tra la realtà della gestione dei contenuti digitali e l’evoluzione del quadro normativo, dall’America, all’Europa, all’Italia. A rileggere il decreto Urbani dopo la relazione si ha la sensazione di qualcosa di surreale, qualcosa che non ha niente a che fare con il mondo in cui viviamo. Non si può migliorare una normativa che, invece di stimolare la fruizione legale dei contenuti digitali, si limita ad alzare steccati e prevedere sanzioni spropositate.
E’ necessario risolvere contraddizioni evidenti, come quella – esemplare – del diritto alla copia per uso personale da parte del legittimo utilizzatore e la punizione per chi esercita questo diritto aggirando la protezione, dopo aver anche pagato una “tassa” per la copia legittima con l’acquisto dell’apparecchiatura e del supporto.
Il problema di fondo rimane nel fatto che l’industria dei contenuti non riesce a staccarsi dalla visione tradizionale del diritto d’autore e cerca di imporne l’estensione ai nuovi media attraverso un apparato sempre più repressivo.
La relazione della commissione Vigevano indica con chiarezza la strada da percorrere: prendere atto che non si torna indietro sulla strada della diffusione in rete dei contenuti digitali e che l’unico sistema per favorirne la massima diffusione – proteggendo i diritti degli autori – è l’adozione intelligente di sistemi tecnologici di DRM. Superando anche i sistemi monopolistici di intermediazione – vedi la nostra SIAE – che non sono adatti alla gestione dei diritti su scala planetaria e in una infinita varietà di situazioni, di mezzi tecnici e soprattutto di interessi degli autori. Come il nostro legislatore nazionale possa tradurre tutto questo in norme di legge, è un interrogativo che difficilmente troverà una risposta in tempi brevi.
Questo significa anche che la soluzione dei problemi può essere trovata solo con uno sforzo collettivo, a livello internazionale, di tutti i soggetti interessati. Tenendo conto degli interessi di chi paga, non solo di chi incassa…
Manlio Cammarata
InterLex