Qualche settimana fa, nel commentare la consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Europea in relazione alla disciplina, tra l’altro, della responsabilità degli intermediari della comunicazione, scrivevo che le incertezze giurisprudenziali sul ruolo di questi protagonisti del web 2.0 non sono ulteriormente tollerabili e rischiano di produrre conseguenze gravissime nello sviluppo economico e nelle dinamiche dell’innovazione dei diversi Paesi membri dell’Unione Europea. La Sentenza con la quale il Juzgado de lo Mercantil (il Tribunale del commercio) di Madrid lo scorso 22 settembre ha rigettato la domanda risarcitoria proposta da Telecinco – la cugina spagnola delle emittenti televisive di Mediaset – contro YouTube conferma tale esigenza.
Nonostante, infatti, Roma disti da Madrid meno di 2000 Km, la decisione resa dai giudici spagnoli nei giorni scorsi e le due decisioni – sebbene, entrambe, rese in sede cautelare (n.d.r. ovvero nell’ambito di un procedimento d’urgenza a cognizione sommaria) – rese nei mesi scorsi dal Tribunale di Roma sembrano distanti anni luce.
Il Tribunale del commercio di Madrid scrive a chiare lettere che YouTube, in relazione alla gestione della propria piattaforma di videosharing deve essere considerato un intermediario e che, pertanto, i titolari dei diritti d’autore, prima di poter contestare qualsivoglia responsabilità, dovrebbero dimostrare di aver infruttuosamente provato ad utilizzare le procedure di segnalazione e rimozione dei video rese disponibili agli utenti.
A nulla rileva, secondo i giudici spagnoli, la circostanza che YouTube svolga un’attività latu sensu editoriale sull’impaginazione ed organizzazione dei video, che YouTube tragga un profitto dalla propria attività e che la piattaforma sia di sua proprietà.
Vale forse la pena ricordare quanto, invece, stabilito con altrettanta chiarezza dal Tribunale di Roma nell’ordinare a YouTube, in accoglimento della domanda di Mediaset, di rimuovere un centinaio di video del Grande Fratello 10 dalle proprie pagine. ” La normativa – vedi dlgs n. 70/2003 – e la giurisprudenza ” – scrive il tribunale nella propria ordinanza – starebbero ” ormai orientandosi nel senso di una valutazione caso per caso della responsabilità del provider che seppur non è riconducibile ad un generale obbligo di sorveglianza rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di operare una verifica di tutti i dati trasmessi che si risolverebbe in una inaccettabile responsabilità oggettiva, tuttavia assoggetta il provider a responsabilità quando non si limiti a fornire la connessione alla rete, ma eroghi servizi aggiuntivi (per es. caching, hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto quando, consapevole della presenza di materiale sospetto si astenga dall’accertarne la illiceità e dal rimuoverlo o se consapevole dell’antigiuridicità ometta di intervenire “. (Ordinanza 16 dicembre 2009).
Secondo lo stesso Tribunale di Roma, questa volta nell’ordinanza resa a seguito del reclamo proposto da YouTube, peraltro, non apparirebbe ” nemmeno ragionevole sostenere l’assoluta estraneità alla commissione dell’illecito posto che le reclamanti (n.d.r. Google e YouTube) hanno continuato la trasmissione del Grande Fratello nei loro siti internet, organizzando la gestione dei contenuti video anche a fini pubblicitari, nonostante le ripetute diffide ed azioni giudiziarie iniziate da RTI che rivendicava la paternità e titolarità dell’opera… Né può farsi carico a RTI che agisce per la tutela dei propri diritti di fornire alle reclamanti i riferimenti necessari alla esatta individuazione dei singoli materiali caricati sulla piattaforma URLs ” (Ordinanza 22 gennaio 2010).
Due giudizi, stesse parti, stessa identica fattispecie, stesso anno, meno di 2000 km di distanza, due Paesi piuttosto vicini in termini di cultura giuridica ma due decisioni diametralmente opposte nelle conclusioni e nelle motivazioni.
Intendiamoci, chiunque pratichi i Tribunali italiani sa benissimo che l’omogeneità nelle decisioni è un’aspirazione che rimane spesso frustrata persino all’interno degli stessi uffici giudiziari tra Sentenze rese da giudici distanti solo pochi metri. In questo caso, però, la situazione è diversa: si tratta di un servizio globale, erogato in centinaia di paesi ed utilizzato da milioni di utenti per veicolare informazioni, contenuti, idee ed opinioni. Le difformità di trattamento giuridico, specie, nell’ambito della stessa Unione Europea possono dar luogo a gravi distorsioni di tipo economico e sociale e costituiscono, pertanto, un lusso che un Paese (penso all’Europa) non può permettersi.
È urgente, per questo, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sia chiamata a pronunciarsi – come, peraltro, già accaduto, sebbene in relazione ad una fattispecie non sovrapponibile a quella in esame, nella recente vicenda Google Adwords – sull’esatta portata della disciplina europea in materia di responsabilità degli intermediari della comunicazione e che la Commissione ed il Parlamento riflettano sull’opportunità di un intervento normativo chiarificatore.
Frattanto, però, è indispensabile che i Giudici italiani, francesi, tedeschi e di ogni altro paese europeo, compiano uno sforzo che gli ordinamenti nazionali, in effetti, non impongono loro: quello di guardare al di là dei confini del proprio Paese e far tesoro delle esperienze e riflessioni compiute dai colleghi stranieri, alla ricerca di un’uniformità nelle decisioni che valga a scongiurare il rischio che si producano nel vecchio continente, isole di a libertà evoluta ed isole – o magari penisole – a libertà contenuta.
Sotto tale profilo i dati pubblicati nei giorni scorsi proprio da Google a proposito delle richieste di rimozione di contenuti dai propri servizi e, in particolare da YouTube, tratteggiano – sebbene nella loro dichiarata approssimazione e non scientificità – una situazione davvero preoccupante con il nostro paese in testa, forse complice proprio la vicenda Mediaset, nella classifica dei paesi nei quali è stato formulato (e accolto) il più alto numero di richieste di rimozione di contenuti dalla piattaforma YouTube.
Nella sola Italia, infatti, nel primo semestre 2010 si sarebbe proceduto alla rimozione – nella più parte dei casi su richiesta privata e non previo provvedimento dell’autorità giudiziaria – di 1639 video, laddove, complessivamente, nei 17 Paesi oggetto della ricerca i video rimossi sarebbero stati 2372. Oltre la metà delle richieste di rimozione pervenute a YouTube in tutto il mondo, dunque, sarebbero pervenute dal nostro paese.
Credo sia evidente a chiunque che la situazione non è ulteriormente sostenibile e che proseguendo su questa strada, il paese rischia davvero di ritrovarsi web-escluso.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it