Dopo aver portato la questione a Bruxelles, il Governo Renzi sembra pronto a mettere concretamente mano alle infrastrutture di connessione del Paese: con il piano “banda ultra larga 2014-2020”, che sarà completato entro il 15 ottobre, promette – tra fondi comunitari, regionali e nazionali – di mettere sul piatto sette miliardi di euro.
Questo budget con introiti da più fonti e fondi sarà affidato al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, che ha già riferito che è in corso la ricognizione sulle infrastrutture e che proprio in queste ore è stato chiuso l’accordo di partnerariato. “L’Europa ci ha chiesto di progettare diversamente. Made in italy, salute, smart communities, industria sostenibile i pilastri della nuova programmazione”: una volta messi i puntini sulle i a questa partnership ed al piano governativo di spesa – ha spiegato Delrio – “convocheremo gli operatori privati per un piano comune che porti alla rivoluzione digitale”.
Proprio il coordinamento con i privati sembra una delle caratteristiche dei progetti del Governo: nell’ultima settimana , per esempio, Vodafone ha avviato un investimento nella rete in fibra ottica e Fastweb ha annunciato un’estensione della propria. Due punti da cui si può partire.
Rispetto in generale ai privati, d’altra parte, che mirano da soli a coprire il 70 per cento di popolazione entro il 2020, il piano del Governo punta a colmare le zone della rete dove gli operatori non sono interessati a investire: dunque banda ultra larga e digital divide, lì cioè dove non conviene all’operatore commerciale intervenire. Il nuovo piano nazionale, inoltre, sembra voler prendere atto della predilizione degli utenti italiani per la navigazione internet in mobilità: i fondi serviranno infatti anche per potenziare, con fibra ottica, le antenne cellulari (reti 4G) e per installarci sopra hot spot WiFi (utilizzabile come mezzo alternativo di accesso a internet).
L’obiettivo, nel complesso , è di portare i 100 Megabit al 50 per cento della popolazione e i 30 Megabit al 100 per cento entro il 2020 , secondo i dettami dell’Agenda digitale europea: per il momento si tratta di belle ambizioni e poco più, dal momento che i ritardi accumulati dal Paese vedono coperto solo circa il 20 per cento, contro una media europea che ha superato il 50 per cento. I sette miliardi di cui si parla non sono tuttavia casuali: gli studi hanno individuato proprio in questa cifra quella necessaria a realizzare tali obiettivi, poco meno della metà dei 15 miliardi di euro di fondi pubblici necessari secondo una precedente valutazione ora superata dall’evoluzione delle tecnologie ed dai nuovi piani di investimento dei privati.
Nel dettaglio, buona parte delle risorse sembrano destinate ad arrivare dai fondi europei destinati alle aree affette dal divital divide: 300 milioni di euro da quelle agreicole coperte dal Feasr e 1,7 miliardi provenienti da quelle di sviluppo regionale interessate dal Fesr). Starà in ultima battuta tuttavia alle Regioni decidere come spendere tali risorse e tale non sembra essere un problema da poco dal momento che sono diverse le esigenze a cui devono cercare di rispondere con le medesime risorse. A questi canali di finanziamento, poi, vanno aggiunti i co-finanziamenti statali ed gli 1,5 miliardi derivanti dai risparmi del bando per il Sistema pubblico di connettività, generato dalle gare di appalto di Consip, e infine gli investimenti generati dal credito di imposta previsto dal decreto Sblocca Italia.
Claudio Tamburrino