Genova – È una cosa difficile da accettare. E che, per essere sinceri, mette un po’ di tristezza a chi utilizza da anni la rete con frequenza. Pochi giorni addietro RaiNews24 titolava “Protesta la rete”; qualche settimana fa il Corriere della Sera parlava de “il mondo di internet di nuovo sotto i riflettori”; stesse cose si ascoltavano l’altro giorno su reti Mediaset. Ma gli esempi sono decine: “il mondo di internet si ribella “, “il mondo di internet guarda il video del gattino scemo su YouTube”, “impazza sulla rete la protesta”, “la pornografia e il mondo della rete”, e bla bla bla.
In tutto questo fiorire di affermazioni un fatto sembra sfuggire: il mondo di internet è… il mondo . Non rendersene conto oggi è un errore madornale di prospettiva. E lo commettono ancora in tantissimi. È dimostrazione di un’ ignoranza profondissima da parte del giornalismo nostrano e della società italiana.
Affermare cose come “la rete si ribella” fa innanzitutto perdere credibilità ai commenti che provengono dal web, in secundis è uno stupido sistema che crea fazioni che non esistono. Non esiste il “mondo della rete”, né il “mondo della non rete”. Ma soprattutto: non dovrebbero esistere. Una nazione moderna deve avere politiche di innovazione che mirino a coinvolgere la società a vivere ogni giorno sulla rete. Esattamente il contrario di ciò che sta accadendo da anni in un’Italia, dati Istat , in cui l’utilizzo di internet in ambito familiare è addirittura in calo: unico caso in occidente.
Il “mondo di internet” è il mondo. E se il mondo di internet protesta, vuol dire che sono gli italiani a protestare. E vanno ascoltati esattamente come va ascoltata la “società analogica”, indipendentemente dai torti e dalle ragioni che esprime. Non ci sono differenze. Se il mondo di internet guarda il gattino scemo su YouTube o le tette di Belen Rodriguez, vuol dire che gli italiani guardano il gattino scemo su YouTube e le tette di Belen Rodriguez, e questa non è affatto una notizia. Lo deve capire il giornalismo, lo deve capire la politica , ma lo deve capire prima di tutto la scuola e la società: la gente. Quella che non usa internet. E dovrebbe capirlo anche se “sai, io con ‘ste cose tecnologiche mi ci trovo male”. Perché nella tecnologia ci sono sì difetti , ma i vantaggi sono immensi e il resto del mondo l’ha capito da anni. E ci sta fregando.
Nessun quotidiano statunitense parla del “mondo di internet” come avviene da noi. Nessun intellettuale della vecchia Francia lo fa. Nessun giornale internazionale parlerebbe di “proteste Web”, ma semplicemente di “proteste”. Qualche mese fa il direttore del noto Nouvel Observateur intervistato da Raffaele Mastrolonardo affermava addirittura che la sua “oggi è una rivista con un sito: dovrà diventare un sito con una rivista.” Un’ opportunità , quindi, non un pericolo né un mondo a sé stante.
Il “mondo di Internet” esisteva solo molti anni fa, quando sul web si incontravano informatici o universitari che, spendendo un occhio dalla testa in telefonate internazionali, si collegavano con le tre o quattro università statunitensi presenti in rete. Ricordo quando lo facevo io stesso con mio padre negli anni ’80: si era in pochissimi. Ma ora è diverso. Ora la rete la usano le imprese, le istituzioni e i cittadini. Così avviene in tutto il mondo: dalla pizzeria di Basilea nella quale posso ordinare una capricciosa via email, all’amica italiana che lavora a Kabul con cui posso parlare via Facebook. E l’Afghanistan non è esattamente la Silicon Valley.
Così, mentre il governo italiano e quello iraniano annunciano la necessità di regolare internet nel mondo, nei computer del moderno campus savonese dell’Università di Genova si installa il vecchio Internet Explorer 6 cambiandogli il nome in “INTERNET” (tutto maiuscolo): cosicché gli studenti di ingegneria e di scienze della comunicazione capiscano cosa devono cliccare per “andare sul web”. Cosa da ridere, se non fosse che si tratta di un’università in cui si formano i futuri ingegneri e comunicatori italiani.
Per queste ragioni certe affermazioni sul mondo di internet, così come certi disegni di legge , sono soltanto il sintomo di un’incompetenza e di un’avventatezza diffuse ad ogni livello , più che trame occulte. E tutto ciò ci fa perdere occasioni. Non è pessimismo, non è populismo né generalizzazione: le eccezioni ci sono ma sono, appunto, eccezioni. E questo non va bene. Lo deve capire la nostra classe dirigente. Lo deve capire la nostra scuola, rispondendo nel merito piuttosto che aprendo canali su YouTube. Lo deve capire subito. Oggi.
Ieri.