Chi pensa ad una commodity (secondo Wikipedia, “un prodotto/servizio di qualità uniforme offerto sul mercato senza differenziazione fra i vari fornitori”) generalmente pensa al grano, al petrolio, magari ad una connessione ADSL da 1 MB al secondo. Difficilmente pensa ai brillanti .
Eppure secondo Gianni Bulgari, che di brillanti se ne intende (le fantastiche gioie di Elisabeth Taylor erano Bulgari), “più il pezzo diviene importante, più il valore del gioiello si identifica inevitabilmente con quello delle pietre preziose. Nei gioielli più preziosi, in fondo, il gioielliere “veste” le pietre”.
Tiffany, il celebre gioielliere USA, ha visto scendere significativamente la propria redditività quando – per non rischiare di essere percepito come un marchio troppo “popolare” – ha deciso di focalizzarsi sugli oggetti con brillanti dal prezzo minimo di parecchie migliaia di dollari, sacrificando le vendite dei gioielli in argento dal costo di poche centinaia di dollari.
Questa “inversione della redditività”, con gli oggetti più esclusivi caratterizzati da margini (percentuali) più bassi degli oggetti più a buon mercato, rappresenta un fenomeno “strano” e nuovo. Il ruolo del gioielliere “di fiducia” è sempre stato (ed è ancora oggi) quello di “garantire” la qualità delle pietre acquistate, un servizio che il gioielliere fa giustamente pagare.
Sembra che Internet, almeno negli USA, stia lentamente cambiando le cose.
Il fatto è che il prezzo di un brillante è sostanzialmente determinato, in modo relativamente “meccanico”, dal combinato disposto dei quattro fattori che ne determinano la rarità, le famose “4 C” – Cut (taglio), Color (colore), Clarity (chiarezza) e Carat (peso). E ad ogni “C” corrisponde un parametro che può essere misurato, certificato e tabellato con relativa facilità (avendo le necessarie competenze, si intende…).
In pratica diventa un esercizio in cui, dato un vincolo (i famosi due mesi di stipendio da investire nell’anello di fidanzamento…), va trovata la combinazione di taglio, colore, chiarezza e peso che piace di più.
Bluenile.com (che ha da poco iniziato ad operare anche in Europa) permette di “ricercare” un database di 60mila brillanti, dal prezzo compreso fra 300 e 2 milioni di dollari, “giocando” con quattro cursori che “filtrano” sulla base dei quattro parametri chiave.
Una volta fatta la scelta del proprio brillante “ideale”, si sceglie il modello di anello preferito e il gioco è fatto. Blue Nile ve lo monta e il tutto viene consegnato a casa via Federal Express entro i due giorni successivi.
Il prezzo (Blue Nile non deve finanziare un proprio stock di brillanti e non deve pagare l’affitto di un negozio) è inferiore di circa un 20-30% rispetto a quello di un gioielliere tradizionale.
Il risultato, per il 99% della popolazione maschile generalmente più a suo agio a lavorare su una tabella Excel che a scegliere gioielli per la fidanzata, è una piacevole sensazione di avere “il controllo” della situazione. Non sorprende che Blue Nile abbia fatturato 320 milioni di dollari nel 2007, valore che dovrebbe “tenere” nel 2008. Visti i tempi.
Gianni Bulgari, nel frattempo, ha lanciato una nuova collezione di gioielli in argento, dove la bellezza del disegno “prevale” sul valore intrinseco del materiale: “Mi affascina la storia del gioielliere di un villaggio africano, che insisteva nel creare i propri gioielli in materiali poveri, perché sosteneva che in questo modo rendeva i suoi oggetti più nobili…”
Fabio Annovazzi
I precedenti interventi di F.A. sono disponibili a questo indirizzo