Interviste/La rotta della Naming Authority

Interviste/La rotta della Naming Authority

All'organismo dal quale emergono le regole minime del sistema dei domini italiani si devono le norme che hanno portato alla recente liberalizzazione delle registrazioni
All'organismo dal quale emergono le regole minime del sistema dei domini italiani si devono le norme che hanno portato alla recente liberalizzazione delle registrazioni


Web (internet) – Abbiamo intervistato sui temi centrali della situazione dei domini italiani e delle nuove regole, il Direttore del Comitato esecutivo della Naming Authority, Maurizio Codogno. La Naming Authority è l’organismo che si occupa di stabilire norme minime del sistema dei domini in Italia.

D: Come rispondi a chi sostiene che nella Naming Authority si trovano, per la stragrande maggioranza, persone che appartengono ad operatori ed imprese di settore e che questo inevitabilmente condiziona le scelte della NA?
R: Come si può leggere al punto 5 dello statuto della Naming Authority, vi si possono iscrivere i maintainer, ma anche “persone fisiche, persone giuridiche, associazioni ed altri soggetti che siano stati ammessi a far parte della lista con voto favorevole a maggioranza semplice dall’assemblea”.
Posso aggiungere che nell’esperienza della NA in questa forma (poco più di un anno di vita, una sola assemblea) chiunque abbia scritto al Presidente chiedendo di fare parte della NA, è stato subito inserito nella mailing list, e chiunque abbia dato un minimo contributo è stato regolarmente ammesso alla NA nell’assemblea.
Quindi non è affatto impossibile dare il proprio contributo anche senza essere un operatore del settore… di per sé nemmeno io lo sono (lo Cselt non è un maintainer).
Le scelte del Comitato Esecutivo cercano poi di tenere in conto tutte le istanze: se una forte maggioranza di maintainer fossero contrari alle scelte, probabilmente la situazione cambierebbe (e sicuramente ci sarebbe un nuovo Comitato esecutivo!) ma non è mai stato il caso.

D: E? ragionevole pensare che le migliaia di domini registrati da singoli manteiner siano stati registrati per conto terzi anziché per proprio conto? Magari per farne commercio, specularci sopra o semplicemente attivare nuovi servizi ecc.
R: Cosa intendi per “per proprio conto”? Io so di una società che ha chiesto più di 2000 dominii, per mezzo di tre maintainer diversi. Presumibilmente, tenterà di farci i soldi in qualche modo, ma non possiamo dire a priori come.
Una pecca del Comitato esecutivo è stata forse quella di proporre un arbitrato per ogni tipo di contestazione sui dominii, proposta bocciata dalla NA, invece di limitare l’obbligo ai soli casi di cybersquatting.
La maggior parte dei nomi “simili a marchi” (i nomi non sono marchi, ma all’atto pratico non puoi fare un sito di automobili e chiamarlo peugeot.it!) era comunque già stata registrata, e se uno vuole fare un servizio per utenti di lingua inglese registrando il dominio verbo_transitivo_inglese.it, faccia pure. La NA sta comunque vigilando sui casi di possibile compravendita dei nomi, che non è affatto permessa dalle norme attuali.

D: Le nuove registrazioni di domini .it dal 15 dicembre hanno portato ad un incasso miliardario. Come verranno spesi questi soldi? Saranno tutti amministrati dalla Naming Authority? Cosa prevedono le attuali regole in proposito?
R: La Naming Authority non vedrà una lira, visto che i soldi arrivano alla Registration Authority . In Italia, tra i primi al mondo, abbiamo separato la posizione di chi fa le regole (la NA) da chi assegna i dominii (la RA).
Cosa farà la Registration Authority di questi soldi? A parte l?aver dovuto quadruplicare il numero di persone che gestisce i dominii :-), presumo che li userà per migliorare in genere il servizio.
Occorre anche tenere conto che il contratto tra la RA e il Comitato dei Contributori (i maintainer, insomma) scade alla fine di quest’anno, e dovrà essere rinnovato. Non è detto che il costo del mantenimento di un dominio rimanga quello attuale: ma queste sono solo mie supposizioni, visto che non sono direttamente coinvolto.

D: Cosa ne pensi delle regole sul cybersquatting recentemente approvate negli Stati Uniti? Grazie a queste regole è più difficile speculare sui domini, o acquistare domini con l’intenzione di farne commercio, magari per rivenderli a chi ne potrebbe avere diritto (detentori di trademark ecc.)? Potrebbero essere applicate anche in Italia?
R: Il vero problema, come si è visto anche con l’arbitrato, è che queste regole devono appunto essere una legge, e non una semplice clausola contrattuale, perché abbiano efficacia.
L’Italia in questo campo ha una strana caratteristica: scrive spesso leggi all’avanguardia, però risulta spesso difficile arrivare ad un regolamento attuativo. Sono comunque fiducioso che si riuscirà ad avere una legge migliore di quella americana: continuo infatti a restare dubbioso sulla sua applicazione in casi come quello di Don Henley (ex Eagles) che ha citato il poveretto che si era fatto a suo tempo il sito www.don-henley.com per l’ottima ragione che lui si chiama Don Henley.
La mia visione insomma è che non si dica “il più forte è quello che ha il diritto”, ma “visto che più persone possono avere lo stesso diritto, il primo arrivato ha ragione”.

Intervista a cura di Paolo De Andreis

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Pubblicato il
27 gen 2000
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