Roma – Caro PI, leggevo con interesse le discussioni (e i trollaggi) seguite all’interessante articolo sullo sciopero degli operatori call-center di Telecom. Nella mia seppur breve vita lavorativa ho potuto vivere il problema da quasi tutte le prospettive possibili: operatore call-center, operatore back-end, operatore help-desk, e soprattutto consumatore arrabbiato . Vorrei condividere il mio pensiero con quest’ultimo punto di vista, tentando di dare una visione più complessiva alla faccenda visto che sono stato da tutte e due le parti della barricata.
Per quanto riguarda gli operatori call-center, direi che le generalizzazioni spalmate su di cinquemila utenti mi sembrano quantomeno inappropriate. Che di operatori sfacciatamente maleducati ne esistano in quantità, questo è indiscusso. Al centralino di Telecom è successo più di una volta che mi è stato sbattuto il telefono in faccia anche se il mio tono non era certamente violento o minaccioso. Ma ovviamente questa è una parte del problema. Di operatori gentili e cortesi ce ne sono a bizzeffe, ma anche loro hanno un piccolo difetto: l’azienda non da loro il training necessario.
Certo, la maggior parte dei problemi informatici si risolve controllando quelle poche cose basilari (caps lock, l’alimentazione, la connessione usb o quant’altro), e quando questo non funziona, si prova col classico riavvio del sistema. Ma appena si va oltre questo, scatta il panico nell’operatore, certo non per sua colpa, ma piuttosto della politica delle telco che vedono i propri operatori come carne da macello piuttosto che come fidati collaboratori da formare, e la loro posizione contrattuale dimostra questa mia idea.
Un consiglio a chi ha problemi tecnici seri con Telecom: chiamate dopo la mezzanotte. Il team tecnico che prende le chiamate durante il servizio notturno mi ha dato prova in diverse situazioni di essere altamente skillato.
Parlando dei tecnici, una menzione va fatta agli operatori back-end.
Lavorando per un’utenza business di Telecom Italia ho avuto modo di parlare personalmente con un paio dei preparatissimi ragazzi che lavorano come network administrators. Sfortunatamente l’utenza finale non avrà mai modo di parlare con loro: quando dite che c’è un problema al vostro operatore del call-center, questi non potrà fare altrimenti se non aprire un “incidente” con il supporto back-end.
Praticamente, noi che siamo clienti (esterni all’azienda), dobbiamo rassegnarci a parlare con altri clienti (interni all’azienda). Ed è ovunque così, dove non è peggio. Un esempio di peggio è America OnLine, il più terribile incubo che io abbia mai avuto modo di affrontare. Se avete dubbi sulle nostre telco, provate AOL nel Regno Unito e capirete cosa significa cadere dalla padella alla brace. L’unico scopo dell’helpdesk di AOL sembra quasi essere quello di prendere in giro l’utente, che quando chiede un reset della password, ad esempio, si sente dire che “non c’è bisogno di preoccuparsi” con tono sarcastico da parte di operatori (indiani, visto che in Inghilterra praticamente tutti i major players delle telecomunicazioni mettono in out-source l’helpdesk in India) che non fanno altro che leggere copioni preparati in anticipo e in caso il problema non sia di loro competenza vi chiedono di richiamare un altro numero, che vi rimanderà ad un altro numero etc.
In poche parole, tento di lanciare due messaggi. Uno ai consumatori, e cioè quello di pazientare con i poveri cristi del servizio clienti, perché sono totalmente esenti da responsabilità (tranne quando sono degli screanzati, ma anche lì, la colpa è la mancanza di controlli da parte di chi assume). E agli operatori, di lottare sì per garanzie lavorative ed economiche, ma anche di protestare per avere un addestramento alla missione adeguato: avete accesso ad uno dei mondi lavorativi più importanti al giorno d’oggi, non limitatevi ad essere delle macchinette spararisposte.