Cos’è un robot se non una nostra proiezione umana, intima e misteriosa? Inutile cercare la tecnologia in un robot, perché… insomma, è la storia del dito e della Luna, nella quale puntualmente guardiamo nella direzione sbagliata. “Io, Robotto” serve proprio a questo: a porre in evidenza quel che siamo, quel che non siamo ancora, quel che vorremmo essere, quel che sogniamo di diventare, quel che saremmo se solo potessimo evolvere sulla scia delle nostre ambizioni. “Io, Robotto” è una mostra allestita a Milano dal mese di ottobre e che i ritardatari avranno la possibilità di visitare ancora fino al 29 gennaio. La chiusura è stata infatti posticipata ed un paio di settimane sono dunque ancora a disposizione per attingere con gli occhi ai sogni che culliamo dalla notte dei tempi.
Non è un robot. È un “robotto”, la sua traduzione in lingua giapponese. Con tutte le sue implicite accezioni. Il Sol Levante è per eccellenza la terra dei robot, per esigenze sociali e uniche caratteristiche culturali. La parola “robotto” perde le sue accezioni meccaniche e tecnologiche e diventa “kawaii”, cioè carino, adorabile, amabile. È una macchina che assume un compito sociale, quello di intrattenere, di fare compagnia all’uomo.
Massimo Triulzi
Io, Robotto: oltre Goldrake, verso il cuore
Basterà forse citare Goldrake, Mazinga Z e il Grande Mazinga per solleticare chi ha più di 35-40 anni, ma sono anche molti altri i protagonisti che in questa esposizione guardano i visitatori negli occhi un po’ per interrogarli e un po’ per confessarli. Quando un essere umano guarda un robot, infatti, è immediata l’empatia: è il frutto di un effetto studiato, per certi versi, ma è anche un qualcosa di intimistico che ha radici ben più profonde della mera forma antropomorfa che qualsiasi fumettista, ingegnere o designer tende a dare alle proprie creature.
Il robot, che imita fattezze e gestualità umane, intrattiene e diverte, canta, balla e comunica, celebra non solo la tecnologia, quanto la centralità dell’uomo e la potenza delle idee. Evocativa e ispiratrice per grandi e bambini, la mostra spazia in maniera trasversale sulle infinite discipline coinvolte per offrire un’esperienza dalle tante chiavi di lettura.
Nella “mente di Tetsuya” è proiettato il valore dell’intelligenza umana, così come nel lavoro solitario di Wall-E è sublimato il senso di colpa più sincero dell’uomo nei confronti del pianeta Terra. Nei vecchi cartoon il robot era sia protagonista che antagonista ed in entrambi i casi era animato da un uomo o una donna che ne rappresentavano l’anima: a vincere era sempre il bene, ma soltanto al termine di una sanguinosa e difficilissima battaglia – la nostra, oggi, è dentro di noi. Oggi l’uomo si pone religiosamente in “Io, Robotto” di fronte alla sua stessa pulsione cyborg, chiedendosi se debbano prevalere l’entusiasmo o i timori: l’innovazione è una pulsione sempre più forte e prima di arrivare ad interrogare la macchina circa “la domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto” l’uomo deve imparare proprio a porsi le giuste domande. Dove stiamo andando? Cosa stiamo facendo?
“Io, Robotto” prevede anche un allestimento dedicato ad Alexa, il non-luogo nel quale il robot scompare per lasciar spazio ad un dialogo tra due intelligenze che stanno cercando giorno dopo giorno di capirsi: è questa l’evoluzione nuova, qualcosa che nei robot della fantascienza raramente esisteva: l’uomo parlava con l’uomo – tramite i robot, mentre il dialogo con un assistente privo di fisicità è qualcosa di innovativo e – se possibile – ancor più intimo. C’è qualcosa di realmente religioso in tutto ciò, poiché c’è una ricerca che va oltre quel che gli occhi vedono e il tatto percepisce, c’è l’eterna tensione dell’uomo all’altro e ulteriore in grado di dare una spiegazione e un senso a tutto quel che ci circonda nel tempo e nello spazio: tra uomo e macchina deve svilupparsi una nuova fiducia, qualcosa che ha a che fare una volta per tutte con la coscienza.
Così come il “robotto” cerca di esprimere una coscienza interagendo con l’uomo, l’uomo interroga la propria coscienza guardando, disegnando, progettando e utilizzando i robot. L’elevazione spirituale ai tempi della secolarizzazione passa forse anche di qui. Ecco perché spesso non riusciamo a percepire emozioni dagli sguardi algidi e immobili dei robot: ancora non sappiamo se questo passaggio sappia esprimere nuove meraviglie o nuovi terrori, dunque ci specchiamo nei robot evidenziando soltanto questo profondo immobilismo di chi sta cercando la propria identità.
I robot possono dirci molto di noi semplicemente perché in essi proiettiamo noi stessi ed i nostri sogni. “Io, Robotto” è questo: un viaggio intimo, emotivo, suggestivo. Fatto di personaggi che, lungi dall’essere mera fantasia, hanno rappresentato qualcosa di estremamente serio nella vita di ognuno di noi. E continueranno a farlo, nel bene e nel male, come in quelle battaglie nelle quali un’alabarda spaziale, un attacco solare o una trasformazione spettacolare salvavano l’uomo, la Terra e la vita. Non si dica che non c’è un intimo – inconfessato – senso religioso in tutto ciò.
La mostra: gli orari fino al 29 gennaio 2020
“Io, Robotto” è allestita presso “Fabbrica del Vapore” (Ex Cisterne) in via Procaccini 4. I locali sono accessibili con i seguenti orari:
Lunedì 14.00 – 19.30
Martedì, mercoledì, venerdì e domenica 10.00 – 19.30
Giovedì e sabato 10.00 – 22.00
Una serie di eventi ha scandito l’intero percorso della mostra e continuerà ad accompagnarne l’allestimento fino alla chiusura di fine mese. Il tutto in memoria di Valentino Candiani, le cui immagini sono la miglior prospettiva per entrare nel cuore dei robot e sentir battere il proprio.