Ho letto i principi di IP Justice, e li ho sottoscritti, ma devo segnalare che non mi sento soddisfatto di tale manifesto.
Trovo che non siano stati espressi chiaramente quelli che per me sono i punti fondamentali della questione.
Cercherò di spiegarli a modo mio e spero che vengano presi in considerazione.
Copyright e brevetti, se dobbiamo interpretarli in modo coerente con i principi a cui dichiariamo ispirati gli stati moderni (per le ragioni già bene espresse nel manifesto di IP Justice), dobbiamo ricordare che non costituiscono un diritto di proprietà concreta delle opere e di tutela giuridica delle condizioni di effettiva sfruttabilità commerciale delle stesse.
Copyright e brevetti costituiscono soltanto una concessione, a titolo di incentivo e riconoscimento della meritevolezza dell’opera creativa, consistente nella sola facoltà esclusiva di sfruttamento commerciale della stessa.
Ne consegue che il concetto di violazione di copyright e brevetti è congruamente applicabile solo nei casi in cui si ha:
– oscuramento del merito (cioè della paternità dell’opera).
– sfruttamento commerciale dell’opera:
– – diretto (cioè il commercio dell’opera stessa).
– – indiretto (cioè, ad esempio, usando l’opera per promuovere la vendita di altro).
In mancanza di tali estremi, è lesivo dei principi a cui dichiaramo ispirarsi le nostre società moderne e per la cui affermazione si è così tanto lottato e sofferto per generazioni, affermare che c’è una violazione, un comportamento illecito.
Ad esempio, viene oggi duramente attaccata, come fosse una forma di criminalità (infatti, è associata all’idea di “pirateria”), la possibilità dello scambio amicale di musica e di film, additandola come fenomeno che può portare ad una tale disincentivazione da causare la morte della creazione di opere musicali e cinematografiche. Questa visione della possibilità di scambio amicale è semplicemente mostruosa ed assurda. Non considera i fatti indubitabili che ai consumatori di musica non basta affatto l’ascolto domestico, ma vivono il bisogno dell’ascolto collettivo nei concerti e nei luoghi di ricreazione collettiva come testimoniano ampiamente il successo popolare che questi hanno. Analogamente, i consumatori di film non si accontentano della visione domestica, perchè il vero cinema è sempre un’altra cosa.
Dunque, l’unica cosa che la condivisione mette seriamente in pericolo è il superguadagno dei giganti economici del settore la cui esistenza è solo una possibilità, forse, in declino, e non un diritto da tutelare giuridicamente, o con degli artifici tecnici che trattano il consumatore come un nemico. Giustizia è:
Che questi giganti sopravvivano o muoiano secondo la loro capacità di conservare una utilità ed il favore del pubblico nell’evolversi naturale delle tecnologie e dei costumi. In altri termini, che sopravvivano o muoiano secondo legge naturale di selezione. In fondo, non stiamo parlando di persone, ma solo di organizzazioni. Se hanno fatto il loro tempo, è di gran lunga preferibile per tutti poterle ricordare con piacere per quello che hanno dato ai loro tempi, piuttosto che lasciarle diventare dei “non-morti” (vampiri, zombi et affini) e doverle odiare per quello che ora incominciano a togliere ai vivi.
Una possibile innovazione del concetto di copyright e di brevetto, a mio avviso molto coerente con il pensiero moderno e con lo spirito della tutela dell’opera intellettuale, è di modificare il contenuto della concessione che si ha nel copyright e nel brevetto.
Il contenuto attuale è di facoltà esclusiva di sfruttamento commerciale, senza altre prescrizioni particolari.
Ciò consente controlli eccessivi sulla vita commerciale dell’opera a chi riesce ad impadronirsene.
Un singolo soggetto economico può essere:
– detentore di copyright e/o brevetti
– industria di produzione
– azienda di commercializzazione/distribuzione
Nella mia ipotesi di innovazione, la normativa per la tutela delle opere intellettuali e lo stimolo al loro sviluppo dovrebbe imporre la separazione tra il soggetto economico detentore di copyright e/o brevetti (dal singolo creativo, alla grande impresa di ricerca e sviluppo di qualsiasi ambito) dai possibili soggetti economici che ne attuano in concreto lo sfruttamento commerciale, restando il primo l’unico possibile detentore di esclusiva e concessionario di sole licenze non esclusive ai secondi, in regime di imparzialità.
Nel primo scenario, il gigante economico che può sommare in sè almeno i primi due ruoli è tanto favorito quanto spinto sia ad accaparrarsi i diritti sulle opere di maggiore successo potenziale per ottenere in questo modo il massimo vantaggio sui suoi concorrenti e, quando ci riesce, può permettersi inefficienze, capricci, o esosità che, nel secondo scenario, ne decreterebbero il fallimento in favore di soggetti più abili e/o più modesti. Sia ad impegnarsi per promuovere il successo delle opere di cui ha il controllo a dispetto di quello che valgono realmente.
Così le opere, nel primo scenario, sono oscurabili più facilmente, anche se valide, per mancanza di una loro trattazione adeguata in favore di opere a cui un gruppo forte ha deciso di far avere successo.
Il secondo scenario creerebbe un clima di più reale concorrenza di mercato mettendo di fatto alla pari i soggetti che trattano opere intellettuali davanti a quelli che le creano, chiunque siano gli uni e gli altri, e sarebbe più che mai congruo tanto con i principi a cui si dichiarano ispirate le nostre società moderne, quanto con l’evoluzione corrente delle tecnologie.
Ringrazio IP Justice di esistere e chiunque mi abbia letto fino in fondo per l’attenzione,
Francesco Vinci