Il loro destino era segnato: essere aperti, smembrati, distrutti e le componenti raccolte in modo differenziato. Si tratta di oltre 100 mila iPhone, iPad e Apple Watch, dispositivi che Apple aveva affidato all’azienda Geep Canada (Global Electric Electronic Processing) per poter essere trattati come rifiuti speciali. Come noto, dentro ogni smartphone vi sono terre rare e preziosi materiali quali oro e argento (forse non tutti sanno che le medaglie della prossima olimpiade saranno in parte create grazie a “rifiuti” di questo tipo), tali per cui una raccolta differenziata e appositi trattamenti possono rivelarsi remunerativi dal punto di vista economico, ma soprattutto importanti dal punto di vista etico.
Economia non circolare
Ecco perché quel che Apple ha scoperto non è piaciuto per nulla all’azienda di Cupertino. Alcune indagini presso i carrier, infatti, hanno rivelato come una cospicua porzione di device inviati a Geep si sarebbero connessi tempo dopo il presunto smaltimento. Ciò poteva significare una cosa soltanto: i device, invece di essere distrutti, venivano rivenduti sul mercato (non è noto al momento il canale utilizzato). Non si tratta di device rigenerati, insomma, ma di unità realmente destinate alla distruzione e invece monetizzate in altro modo.
Geep avrebbe ammesso gli addebiti, scaricando però le responsabilità su tre manager del gruppo che in via privata avrebbero agito in modo truffaldino sia ai danni di Apple che all’insaputa dell’azienda titolare dell’appalto. Ai tre è ora richiesta una cospicua somma, oltre i 20 milioni di dollari.
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Secondo Apple i device al centro dell’indagine sarebbero esattamente 103845, ossia il numero di dispositivi connessi ad una rete mobile dopo la data del presunto smaltimento. Ciò significa che, con ogni probabilità, il numero dei dispositivi rivenduti possa essere molto più alto in virtù dei tablet solo-WiFi che Cupertino non ha modo di tracciare.