I tempi stanno cambiando. Per anni Apple è stata un riferimento per molte altre aziende che operano nel settore telefonia mobile e nell’hi-tech più in generale: sin dal momento del lancio del primo modello di iPhone, il colosso di Cupertino ha infatti investito molto in ricerca, sviluppo ed innovazione. Molti gli sono andati dietro: è opinione comune che negli ultimi 9 anni diversi brand di smartphone abbiano preso ispirazione e spunto – se non addirittura copiato – da Apple per realizzare i propri apparecchi. Adesso però è successo qualcosa di completamente opposto. Un’azienda cinese – Shenzhen Baili, per i più fino a oggi sconosciuta – ha denunciato Apple per furto di idee. Più precisamente l’accusa riguarda il design dell’iPhone 6 e dell’iPhone 6 Plus. Per disegnare la silhouette di questi due smartphone Cupertino avrebbe copiato lo stile dello smartphone 100C del brand 100+ .
Se mettiamo l’uno di fianco all’altro i due device, in effetti è facile trovare diverse somiglianze – come gli angoli stondati e la posizione della fotocamera posteriore – ma affermare che si tratti di un plagio è una cosa abbastanza diversa, un’accusa alquanto pesante. A voler essere estremamente sinceri, bisogna anche dire che tanti smartphone apparsi sul mercato negli ultimi anni si assomigliano, sembra quasi che gli addetti al design di questo settore abbiano finito un po’ le idee o che abbiano quasi paura di proporre soluzioni diverse dal punto di vista stilistico. I bordi smussati ad esempio vanno per la maggiore, così come c’è un ritorno del grande tasto fisico sulla parte frontale dell’apparecchio – anche perché è necessario trovare una sistemazione per il sensore delle impronte digitali. A un certo punto, con il lancio del Nexus S (sviluppato da Google e prodotto da Samsung), sembrava che non ci fosse più alcun bisogno di tasti fisici sugli smartphone – con la sola eccezione del volume e del tasto di accensione – poi c’è stato un ripensamento.
Ma torniamo al caso Shenzhen Baili vs. Apple. Questa nuova diatriba legale potrebbe sembrare uno scherzo, ma è tutto vero. Il Beijng Intellectual Property Office ha infatti ordinato ad Apple di fermare la vendita dei suoi smartphone sul territorio di Pechino, adducendo come motivazione un possibile fraintendimento, ossia secondo il giudice ci sarebbe il rischio che alcuni clienti non riescano a distinguere l’iPhone dal 100C.
Insomma Apple potrebbe aver violato il brevetto sul design dello smartphone 100C, anche se – lo ribadiamo – i due apparecchi non appaiono poi così simili. Si tenga presente che è anche una questione di date, cioè l’azienda di Tim Cook potrebbe davvero aver presentato all’ufficio brevetti cinese il design dell’iPhone in un momento successivo alla presentazione del 100C. La restrizione sulla vendita degli iPhone comunque riguarda solo la zona metropolitana di Pechino, non tutto il mercato nazionale cinese. Per di più, gli avvocati di Apple hanno ovviamente già iniziato a lavorare al caso, appellandosi a questa decisione, cioè chiedendo che la vendita dell’iPhone 6, 6 Plus, 6s e 6s Plus continui regolarmente. Per la precisione, la richiesta di sospensione del blocco è stata presentata da Apple il mese scorso e, a quanto pare, l’okay sarebbe già arrivato: dunque il Tribunale di Pechino che si occupa di brevetti ha già revocato la sua ordinanza . Durante tutto il tempo che ci vorrà per venire a capo di questa vicenda Apple potrà continuare a vendere i suoi smartphone in tutta la Cina, Pechino compresa (una città composta da circa 22 milioni di abitanti).
Per Apple la Cina, con i suoi 1,3 miliardi di cittadini, è ormai il principale mercato: una piazza anche più importante di Europa e America settentrionale. Senza dubbio in questo paese si fanno ottimi affari, ma è anche vero che si incontrano alcune difficoltà. Qualche mese fa, ad esempio, la società guidata da Tim Cook ha dovuto affrontare un altro problema legale inerente suoi marchi registrati . Il brand iPhone in Cina era già registrato e di proprietà di una società locale che si occupa di vendere prodotti in pelle. Apple si rivolse a un tribunale per bloccare la vendita di questi prodotti e chiedere all’azienda di cambiare brand, ma non è stata ascoltata. La sua richiesta fu respinta. Certo, è difficile che un utente scambi una borsa in pelle per uno smartphone: però rimane il fatto che Apple non sia riuscita a far valere le sue ragioni nelle aule di un tribunale cinese.
In linea generale, lavorare sui mercati cosiddetti emergenti non è una passeggiata. Recentemente anche in India Apple ha riscontrato qualche difficoltà . L’intenzione era di aprire diversi negozi monomarca nelle città indiane, ma la legge locale impone che per fare questa operazione sia necessario che almeno il 30 per cento della merce venduta negli store sia prodotta in loco, con manodopera indiana e materie prime indiane. Un primo blocco dunque c’è stato, ma ovviamente Apple si è appellata contro questa decisione, perché pare che le aziende hi-tech possano essere esonerate da questa quota obbligatoria. Adesso si attende la decisione finale da parte del Ministero delle Finanze, l’unico ente che può giudicare legittima – o meno – la richiesta della società di Cupertino ed eventualmente dare il nulla osta all’apertura dei negozi della mela morsicata sul territorio nazionale.
Nicola Bruno