Nei giorni in cui cresce in rete e anche in Italia la preoccupazione per la prossima e probabile approvazione della direttiva IPRED2 sui reati contro la proprietà intellettuale, Punto Informatico ha avuto l’opportunità di parlarne con il relatore del provvedimento, l’eurodeputato PSE Nicola Zingaretti , secondo cui, tra le altre cose, la direttiva porterà all’abolizione delle sanzioni penali per chi scarica senza finalità di profitto. Ecco qui di seguito l’intervista che abbiamo realizzato.
Punto Informatico: Sta crescendo in rete una forte sensibilità verso IPRED2, la direttiva di cui è relatore e che, grazie alla sua iniziativa politica, è già stata limata in alcuni dei suoi contenuti più controversi. Il sen. Cortiana invita gli utenti italiani a mobilitarsi contro quella che ritiene una direttiva pericolosa nella sostanza. Che ne pensa?
Nicola Zingaretti: Fin dal primo giorno di discussione su questa proposta di direttiva, ormai due anni fa, mi sono detto disponibile a recepire tutti i contributi tesi a migliorare un testo iniziale che poteva prestarsi ad equivoci e che era certamente perfettibile.
PI: Com’è andata?
NZ: Grazie al prezioso lavoro emendativo che abbiamo condotto anche in collaborazione con l’organizzazione dei consumatori europei ( BEUC ) e con le federazioni nazionali degli internet provider, il testo consolidato della direttiva chiarisce il campo di applicazione della direttiva, esclude esplicitamente la materia brevettuale e tutela gli utenti finali che agiscano per finalità personali e non lucrative. Insomma, i cambiamenti che abbiamo introdotto rispetto al testo iniziale sono profondi e tangibili.
Preso atto delle valutazioni positive al nostro lavoro emendativo da parte delle tante organizzazioni e associazioni impegnate nella difesa degli utenti, ho difficoltà a comprendere il senso e il fine reale di iniziative dell’ultimo secondo.
PI: Uno degli aspetti più controversi della bozza di direttiva riguarda la partecipazione di privati detentori dei diritti in sede di indagine. Cosa si potrà fare a Strasburgo per evidenziare i limiti di una partecipazione del genere e/o offrire garanzie reali ai cittadini europei? Il timore è che le pressioni dell’industria possano portare anche a recepimenti nazionali della direttiva privi di importanti tutele
NZ: Il problema lo ho posto fin dall’inizio, tanto che un mio emendamento, approvato a larga maggioranza, vincola le modalità di svolgimento delle indagini e dei procedimenti giudiziari al rispetto della Decisione Quadro del 2002 sulle squadre investigative comuni. E l’articolo 1, paragrafo 3 della Decisione Quadro recita espressamente che “la squadra investigativa comune agisce entro i limiti delle sue competenze in conformità del diritto nazionale”. Nulla cambia, quindi, per quanto riguarda la tutela della privacy e i diritti di difesa.
PI: L’armonizzazione delle norme nazionali proposta dalla bozza di direttiva riguarda le violazioni al diritto d’autore, argomento che in questi anni più di ogni altro ha condizionato il dibattito sull’avanzare della Società dell’informazione. In Italia le regole sono molto severe ed è previsto il penale anche per attività svolte abitualmente da milioni di cittadini. È possibile immaginare in questo ambito quale potrà essere l’effetto di IPRED2 sull’ordinamento italiano?
NZ: Innanzitutto, è bene sapere che la proposta di direttiva mira ad armonizzare tutti i diritti di proprietà intellettuale, con la sola esclusione dei brevetti: non solo diritto d’autore, ma anche i diritti relativi ai marchi, alle indicazioni geografiche tipiche e ai disegni e modelli.
Insomma, gli utenti del web – come tutti gli altri cittadini – sono consumatori anche di beni materiali quali prodotti tessili, alimentari e farmacologici. Ecco, la garanzia dell’autenticità di un prodotto è una forma di tutela, per loro come per ogni consumatore.
L’unico distinguo che abbiamo introdotto nel testo, riguarda proprio le attività online: non ci saranno sanzioni penali, in nessuno Stato membro, per chi violi il diritto d’autore senza ricavarne un vantaggio direttamente commerciale.
PI: Quindi le cose cambieranno anche in Italia?
NZ: Come si sa, i legislatori nazionali hanno due anni di tempo, dalla data di adozione della direttiva, per adeguare le rispettive legislazioni. E ciò avverrà anche in Italia.
PI: Quando si parla di tecnologie è nota la difficoltà di molti parlamentari, italiani come europei, nel formulare un giudizio preciso. Il timore di molti è che di queste incertezze approfittino le major dell’intrattenimento. È vero? E questo può rivelarsi un problema nel corso di dibattiti come quello che si svolgerà il 24 aprile su IPRED2?
NZ: Non sarei così allarmista. Le cosiddette “major dell’intrattenimento” sono lobby come molte altre e i parlamentari europei le incontrano regolarmente, così come incontrano le organizzazioni dei consumatori.
Proprio un anno fa la Commissione giuridica, di cui sono membro, ha organizzato un’audizione pubblica sull’evoluzione del regime dei diritti di proprietà intellettuale. Fu proprio in previsione di quella audizione che richiesi ed ottenni che nella discussione venisse coinvolta anche la più importante organizzazione dei consumatori europei (BEUC, gli atti sono disponibili qui in PDF, ndr.). Recentemente, poi, l’ipotesi di emendamento di compromesso che definisce, nel testo della direttiva, quale tipo di violazione debba essere sanzionata penalmente riprende testualmente la definizione proposta dalla BEUC stessa, tanto da aver incontrato l’opposizione di alcune categorie di autori e distributori discografici.
PI: La sensazione, espressa da Cortiana ma negli anni da una innumerevole quantità di opinionisti, è che l’Europa rischi di prestare il fianco ad una concezione del diritto d’autore che, nell’epoca della rivoluzione digitale, si traduce in una crescente blindatura dei dispositivi di riproduzione e utilizzo delle opere. Che sensibilità c’è attorno a questo argomento? Ci sono pressioni sul PE da parte dei grandi produttori dell’intrattenimento?
NZ: La proposta di direttiva riguarda violazioni la cui gravità richiede misure detentive delle libertà personali. In questo senso, non ci si può certo aspettare che la semplice violazione del diritto d’autore per finalità personali e non lucrative venga considerata alla stregua delle attività di contraffazione su scala commerciale eseguite dalle organizzazioni del crimine.
Detto questo, dobbiamo tenere in considerazione che in tutti i paesi del mondo il diritto d’autore è tutelato e protetto. E che in nessun paese si sta ipotizzando di abolirlo.
Altro tema, che condivido, è piuttosto rappresentato dalla necessità di assicurare condizioni di parità di accesso ai mercati, per l’interoperabilità tra dispositivi di riproduzione e a favore di una offerta multiculturale. Su questi temi mi sono già speso e intendo spendermi ancora.
PI: Foundation for a Free Information Infrastructure (FFII), già decisiva nella mobilitazione contro la direttiva sui brevetti del software, sta seguendo molto da vicino e non senza preoccupazione l’andamento di IPRED2. C’è dialogo tra il PE e FFII?
NZ: La cosiddetta “direttiva sui brevetti software” è stata bocciata in conseguenza della convergenza di fronti opposti, entrambi ostili al testo proposto nel Parlamento Europeo: da una parte, le grandi industrie del software, per le quali il testo modificato dalla Commissione giuridica non offriva più sufficienti garanzie di tutela dei monopoli del settore; dall’altra, da un vastissimo cartello di associazioni di utenti di piattaforme “open source”.
Oggi il quadro è molto diverso: numerose organizzazioni, tra le quali la stessa FFII, contribuiscono con il mio ufficio nella ricerca di soluzioni condivise e che possano contare sul sostegno della maggioranza dei deputati. Certo, il lavoro che svolgo in qualità di relatore mi vincola alla ricerca di una sintesi tra i diversi interessi. Ma il canale di comunicazione con le organizzazioni e le categorie non si è mai interrotto, tanto da continuare anche in queste ore.
PI: Una delle principali richieste di FFII è che sia considerato una violazione del diritto d’autore solo ciò che avviene con finalità di lucro e che possa essere dimostrato rappresenti una perdita per il detentore dei diritti. Una richiesta che sottointende un principio di enorme portata: fino ad oggi le major, che più di altri hanno combattuto fenomeni come il file sharing, hanno parlato di perdite colossali per le attività degli utenti, ma importanti studi sostengono che queste perdite in realtà non vi sono. Che ne pensa?
NZ: Penso che vi sia un vizio di fondo nel modo in cui si affronta questa discussione, e che ho espresso personalmente anche ai rappresentanti di FFII. Mi spiego meglio: c’è una enorme differenza tra il danno causato dalla “comunità” degli utenti e il danno provocato dal singolo utente.
PI: Che intende?
NZ: Nel primo caso, ossia quando l’utente risponde per un danno anche esiguo, ma che in concorso con il danno provocato da altre migliaia di utenti assume valori ben più importanti e sempre quantificabili, non si può e non si deve applicare il codice penale. Non lo sostengo solo io, ma le norme costituzionali di quasi tutti gli Stati membri (Italia, Spagna e Germania compresi). Insomma, la “responsabilità collettiva” di una violazione può essere impugnata unicamente in sede civile o amministrativa.
Ben diversa la situazione, invece, quando il danno provocato dal singolo è particolarmente importante, intenzionale e commesso su scala commerciale. In tal caso la gravità della condotta personale può comportare, e ritengo che debba comportare, sanzioni di tipo penale.
PI: La sensazione di molti italiani, anche prima dell’avanzare di questa direttiva, si veda il caso dei brevetti sul software, è che non vi sia una adeguata informazione sulle novità normative che si compongono in Europa e che sono destinate ad avere effetti negli ordinamenti dei singoli paesi. Che ne pensa? Come si può rimediare a questa insufficiente informazione?
NZ: Sono d’accordo e lo ritengo un fatto grave. Stiamo lavorando ad una proposta di direttiva che mira a sconfiggere i cartelli del crimine organizzato, a tutelare i lavoratori sfruttati dai ricettatori di “falsi”, a garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti a disposizione dei consumatori e a salvaguardare l’erario pubblico. E lo facciamo proprio mentre i dati OCSE rivelano che, ogni anno, più di 100.000 lavoratori europei perdono il posto di lavoro a causa della crisi provocata dalla concorrenza sleale degli imperi del “falso” provenienti dal Sud-est asiatico.
Credo che bisognerebbe avere più coraggio nel parlare di questi temi, per rendersi conto che il crimine ha tutto da guadagnare da una frammentazione normativa in 27 differenti sistemi penali nazionali. Solo unendo le forze saremo in grado di tutelarci dai traffici illegali, sapremo realmente cosa stiamo consumando e potremo difenderci da chi crede di essere più furbo di noi.
a cura di Paolo De Andreis