L’apocalisse dell’IP, la fine di ogni cosa digitale, l’esaurimento degli indirizzi IPv4 potrebbe non verificarsi così presto come temuto. In tanti, finora, hanno sottolineato il problema, e precisato quanto tempo rimanga prima che IPv4 riveli le sue insufficienze e la crescita dello spazio digitale arrivi ad uno stop. Se c’è chi parla di rischi esagerati nell’immediato, ora l’ Information Sciences Institute ( ISI ) pubblica per la prima volta le proprie approfondite rilevazioni, sostenendo che la situazione non sarebbe poi così grave .
Questo mese, alla conferenza ACM Internet Measurement , un team di esperti presenterà quello che sostiene essere il primo censimento completo dell’intera rete Internet IPv4. Un sistema di rappresentazione grafica, le cui basi sono da tempo già accessibili al pubblico sul sito ISI, in diverse e dettagliate pagine, sembra dare per certa l’esistenza di molti spazi il cui impiego è non ben definito o, comunque, sprecato: “Molti si preoccupano per l’approssimarsi della fine dello spazio IPv4”, dice John Heidemann , ricercatore e professore associato presso la Southern California University e principale autore dello studio. “Dai nostri dati emerge che probabilmente ci sono cose migliori che potremmo fare nel gestire lo spazio di indirizzamento IPv4”.
Il luminare sta dunque diplomaticamente redarguendo tutti coloro che, sino ad oggi, hanno deciso le politiche di gestione dello spazio di indirizzamento IPv4 e le hanno adottate. Riflettendo, in effetti, basterebbe osservare il comportamento delle industrie produttrici di apparecchiature per telecomunicazioni Internet ad uso consumer : sono ben poche quelle che si fregiano di essere IPv6 Ready o, almeno, che pubblicizzano upgrade pronti nel cassetto per l’imminente “emergenza buio indirizzi”.
È dal 2003 che, invece, ISI scandaglia l’intera rete ogni quadrimestre – illustra Technology Review – ma solo recentemente lo studio è stato reso noto (vedi figura). Si tratta di un’iniziativa seconda solo a quella di David Smallberg, che dopo lo switch di ARPANET del 1983 censì gli allora circa 300 server presenti su Internet.
Puntigliosamente, lo studio di oggi dell’ISI è arrivato alle sue conclusioni pingando (e non solo) IP per IP, subnet per subnet, blocco per blocco ed è giunto a stabilire che gli indirizzi IP sempre attivi sono 112 milioni , di cui 60 milioni sono assegnati ad host contattabili per il 95 per cento del tempo. Come accaduto in altre occasioni, restano i molti computer protetti da firewall – o impostati per non rispondere a ping o altri meccanismi di contatto – su cui permangono dubbi, come dubbie restano tutte quelle grandi reti – pur dotate di IP pubblici – ma comunque celate dietro inespugnabili guardiani di bit.
Ma avanzano pur sempre milioni di indirizzi, più o meno reserved , più o meno preallocated , in un modo o nell’altro preassigned , che forse meriterebbero altre destinazioni, lasciando spazio per una seppur piccola crescita, una boccata d’aria per “non fare le corse” nel transito verso IPv6. Lo dice Gordon Lyon , il papà di NMAP : “Ci sono grosse fette di spazio di indirizzamento IP ancora non allocate e grossi settori allocati con nessun criterio di efficienza. Per esempio, Xerox, GE, IBM, HP, Apple e Ford hanno tutti più di 16 milioni di indirizzi assegnati, solo perché li hanno chiesti quando Internet era ai primordi”.
Marco Valerio Principato