L’Iran ha un nuovo problema da affrontare: si tratta dei minatori di Bitcoin che, con una forte accelerazione registrata durante le ultime settimane, vanno ad assorbire gran parte delle risorse elettriche del paese. A rivelarlo è stato il Ministro dell’Energia, Mostafa Rajabi, il quale ha spiegato come il mining si sta rivelando un’insidia pesante per la rete elettrica del paese poiché rende difficilmente prevedibili gli assorbimenti necessari e, al tempo stesso, non sempre viene portato avanti secondo le regole.
Mining, +7% nei consumi elettrici
Il basso costo dell’energia elettrica in Iran rende il paese particolarmente vantaggioso per il mining di criptovalute, il che ha evidentemente incoraggiato l’investimento di quanti intendono sfruttare l’attuale momento di salute del Bitcoin per tradurlo in lucro. Tuttavia è risaputa la grande quantità di risorse energetiche necessarie per supportare l’attività di mining, il che si traduce – in momenti di grande fermento – in un vero e proprio salasso di elettricità per le reti a cui le server farm sono collegate. Il ministro ha spiegato come nelle settimane scorse in Iran i consumi siano cresciuti del 7% improvvisamente, addebitando tale impennata principalmente al ritorno in auge del Bitcoin. Il problema è stato posto all’attenzione del ministro principalmente per le instabilità venutesi a creare sulla rete, con una serie di problemi ricaduti direttamente sulle utenze private.
Rajabi ha però spiegato come non solo i consumi siano alti, ma siano anche realizzati presso locali dismessi (fino a 1000 bitcoin minati nel giro di breve tempo presso due sole location) o all’interno di scuole o moschee (ove in alcuni casi la fornitura elettrica è gratuita). Insomma: l’abbattimento del costo della materia prima è questione estremamente golosa che rende il mining fortemente conveniente, ma il tutto ha dei costi sociali non indifferenti che l’Iran non sembra volersi caricare. Di qui l’inizio di retate alla ricerca delle attività più insidiose, nonché l’ipotesi di prezzi speciali per l’elettricità orientata alle attività legate alle criptovalute.1
La quantificazione del peso del mining è stata ben illustrata dallo stesso ministro, secondo il quale l’elettricità necessaria per minare un singolo Bitcoin equivale all’elettricità necessaria per 24 unità residenziali in un intero anno. Non serve altro, insomma, per immaginare quanto un’impennata delle attività sulla criptovaluta possano pesare su una rete elettrica.
E poi ci sono gli Stati Uniti
Le frizioni in atto tra Stati Uniti e Iran sono nuovamente sotto gli occhi di tutti dal giorno in cui una petroliera ha rischiato l’affondamento a causa di un fantomatico siluro che gli USA hanno accreditato alle milizie iraniane. La situazione è presto precipitata, si è tornato a parlare di un inasprimento delle sanzioni e Trump ha spiegato di aver fermato un feroce contrattacco solo pochi minuti prima dell’esecuzione.
L’Iran sfrutta ora la questione mining per ribaltarla proprio sugli Stati Uniti: secondo quanto rivelato dal Ministro dell’Energia, il mining di criptovalute sono tanto un’opportunità per l’estero (ci sarebbero anche imprese europee al centro delle attività demandate in territorio iraniano), quanto per i locali, che con la criptovaluta hanno la possibilità di rifuggire ai vincoli del dollaro. Il Bitcoin, insomma, può diventare un modo per sfuggire alla morsa di Trump e questa per molti diventa una opportunità irrinunciabile.
Questo non solo porta ad una impennata delle attività in ambito Bitcoin, ma crea anche un ruolo più forte per un asset tanto volatile e discusso. Ciò non potrebbe invece accadere per Libra: la moneta voluta da Facebook ha meccanismi molto più accentrati e controllabili, il che non consentirebbe a paesi come l’Iran di liberarsi dai processi delle monete ufficiali. Bitcoin è invece sinonimo di libertà, ma anche la libertà ha un costo: è scritto in bolletta, laddove un Iran che cerca di smarcarsi dai diktat occidentali si trova un consumo elettrico improvvisamente impennatosi del 7%.