“Siamo davvero preoccupati per quello che sta accadendo: per proteggermi, limito i miei post sui social network , i miei tweet e ho cancellato alcuni passi dai miei blog personali così come altri articoli presenti sul web”. Potrebbe bastare questa sentita dichiarazione per spiegare sommariamente il senso di frustrazione che ha assalito i netizen iraniani dopo la discussa rielezione del Presidente Mahmud Ahmadinejad il 12 giugno scorso. Parole di un comune cittadino connesso che avrebbe voluto esprimere il suo dissenso attraverso piattaforme di condivisione del pensiero come Twitter e che, invece, si è ritrovato a spedire una preoccupata email ad Associated Press .
L’agenzia di stampa statunitense ha, infatti, riportato alcune interviste avute via posta elettronica con navigatori da Teheran che hanno accettato di rilasciare i propri commenti solo a condizione di rimanere anonimi. “Qualunque sito che desse la possibilità di riunirsi ed essere connessi – ha spiegato un altro netizen – o di condividere notizie e fotografie è stato bloccato”. È una paura diffusa che si è espansa nei meandri digitali dell’ex-Persia, a partire dai ripetuti oscuramenti voluti dalle autorità per arginare le proteste su Facebook, Twitter e YouTube .
Esperti di Internet, ha riportato AP, sono convinti che il governo stia andando oltre, rintracciando tutti quei computer che diffondano immagini e filmati relativi ai movimenti di protesta in Iran. Tecnologie software, in pratica, per rafforzare attività di monitoraggio e filtraggio di una vasta schiera di siti web , in maniera da controllare le comunicazioni e bloccare sul nascere gli attivisti e i dissidenti.
“Penso che il governo iraniano stia imparando in fretta come contenere e controllare tutto questo”: a dichiararlo è stato Andrew Lewman, ai vertici di Tor Project , associazione senza fine di lucro che gestisce il software di anonimato Tor, capace di proteggere gli utenti dall’analisi del traffico. L’associazione ha fatto presente che l’uso del network in Iran ha fatto un balzo da poche centinaia di connessioni prima delle elezioni a diverse migliaia subito dopo.
Pare che il resto del mondo si sia dimostrato molto sensibile nei confronti dei cittadini iraniani in seguito alla rigida mano censoria delle autorità. Da San Francisco, gli sviluppatori software Austin Heap e Daniel Colascione, hanno diffuso un programma chiamato Haystack che permette di mascherare l’identità online dell’utente ed aggirare i blocchi del governo su siti sociali come Facebook. Esperienza, insomma, donata agli attivisti iraniani, come quella di NedaNet che si è definito “un gruppo indipendente di hacker e utenti” che ha dedicato il proprio nome alla ragazza ventisettenne Neda Agha Soltan, uccisa per le strade di Teheran e ripresa sanguinante da un video YouTube che ha fatto il giro del mondo.
Morgan Sennhauser, coordinatore del progetto NedaNet, ha pubblicato un documento di 31 pagine che ha rivelato nel dettaglio alcune strategie che il governo starebbe usando per bloccare la rete. Per fronteggiarle, l’organizzazione ha suggerito l’uso di sistemi proxy come Freegate, già utilizzato dai dissidenti cinesi: “Penso – ha dichiarato Sennhauser – che continueremo con il contrattacco, qualunque cosa faranno loro, è solo una questione di tempo”.
Mauro Vecchio