L’Isola di Man, paradiso fiscale per aziende, miliardari e banche off-shore, ha sfornato una proposta: una licenza volontaria collettiva per retribuire l’industria dei contenuti con un piccolo contributo da parte dei fruitori della connettività broadband.
Il piano, reso noto nei giorni scorsi e di cui ora si conoscono nuovi particolari direttamente per bocca del ministro Ron Berry, prevede una vera e propria legalizzazione del file sharing dietro il pagamento di una “tassa” nominale di un euro all’anno , in cambio della quale gli utenti otterrebbero la possibilità di condividere i brani musicali senza il rischio di finire sulla lista nera di RIAA né delle altre organizzazioni di rappresentanza delle etichette discografiche.
Certo se ci si limita a un contesto locale e si prendono in considerazione gli 80mila abitanti scarsi dell’isola-nazione, il ricavo per le major è ben poca cosa rispetto all’attuale valore del business musicale, ma il ministro Tim Craine dice che “se prendi un euro all’anno da milioni di persone, allora qui si tratta di un bel po’ di introiti”.
Le autorità dell’Isola di Man vorrebbero insomma portare avanti una prospettiva più generale, proponendo una maglia legale applicabile a tutti i paesi e che fosse capace di chiudere, per il bene delle major e degli utenti, la crociata dell’industria contro i condivisori. L’idea prevede inoltre la possibilità di un opt-out per quei netizen non interessati a finanziare la raccolta di ricavi per le etichette discografiche.
Si tratta, continua Craine, di una proposta iniziale che va arricchita con le idee delle parti chiamate in causa , e anche il minuscolo balzello di 1 euro/anno è una misura indicativa passibile di modifiche e rimaneggiamenti. Modifiche che potrebbero comunque non essere sufficienti a convincere l’industria della bontà delle intenzioni delle istituzioni di Man.
Nel solo Regno Unito (di cui l’isola non fa comunque parte), infatti, il business musicale vale 1 miliardo di sterline: se ognuno dei circa 16,5 milioni di proprietari di una connessione a banda larga dovesse pagare un misero euro, i ricavi aumenterebbero di ben poca cosa rispetto alla perdita del controllo sui contenuti dettato dalle attuali, stringenti e inefficaci norme sul copyright.
Discussioni scaturiscono infine da un coinvolgimento così diretto di istituzioni governative in quello che dovrebbe essere soprattutto un affare tra privati, tra provider ed etichette discografiche. A giustificarlo sarebbe a ogni modo la scarsa propensione al compromesso messa in mostra dall’industria, che preferisce proseguire sulla strada della persecuzione legale o della pressione sugli ISP piuttosto che scendere a patti con la realtà di un P2P che ha preso inesorabilmente il sopravvento.
Alfonso Maruccia