La Corte Suprema di Israele ha deciso che non esiste una procedura civile per risalire attraverso un indirizzo IP all’identità degli utenti.
Fintantoché tale possibilità non venga esplicitamente prevista dal legislatore, ogni post e attività sulla Rete può rimanere anonima e viene così riconosciuto il diritto alla privacy, reso di fatto un diritto costituzionale.
Il caso riguardava un praticante di medicina alternativa che riteneva essere stato calunniato online: per svelare la sua identità si era dunque indirizzato al tribunale, che però ha rilevato non esistere una procedura che gli permettesse di oltrepassare il velo d’anonimato garantito dall’agire in rete. Mancando una procedura civile è solo tramite ]] il procedimento penale che si può, eventualmente, procedere ad identificare un’utenza.
Il giudice della Corte Suprema arriva a dire che “distruggere l’ illusione dell’anonimato in una realtà in cui il concetto di privacy è un mito, può far pensare ad una sorta di Grande Fratello . Tale ingerenza nella privacy deve essere ridotta al minimo. E i confini a tutela dell’anonimato devono essere preservati come parte della Cultura di Internet”. “Si potrebbe dire – ha commentato il giudice – che l’anonimato rende Internet ciò che è.”
Claudio Tamburrino