Bologna – C’era una volta il sistema del diritto d’autore. Era un sistema ordinato, con regole più o meno chiare, giurisdizioni precise ed un perimetro ben definito da presidiare. Poi quel regime è andato in crisi, scosso fin dalle fondamenta da un combinato di fenomeni tecnologici e sociali – bande larghe, social media, smartphone e tutto il resto – che ne hanno sfidato i capisaldi e scompigliato il campo d’azione. Ma dire crisi, spiegano i giuristi riconoscendo il problema, non significa dire superamento del diritto d’autore. Significa invece che gli istituti e le soluzioni tradizionali devono essere adeguate al nuovo panorama, e le misure a tutela degli autori ricalibrate rispetto ai problemi emergenti. Salvo che, quando si tratta di tradurre tali intenzioni in iniziative concrete, gli stessi addetti ai lavori faticano a trovare soluzioni condivise.
È questa la fotografia che si ricava dallo workshop su “Diritto d’Autore in internet”, organizzato lo scorso 19 febbraio nel quadro del ciclo di Incontri su Diritto e Innovazione Tecnologica dell’Università di Bologna. Durante la giornata si è parlato tra l’altro di distinzione tra “pirateria commerciale” e “pirateria altruistica”, di responsabilità degli intermediari, di Decreto Bondi ed equo compenso per la copia privata. Ma i due relatori – Ferdinando Tozzi, giurista esperto del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore e Paolo Agoglia, Direttore dell’Ufficio Legislativo della SIAE – e la stessa ideatrice del seminario Giusella Finocchiaro hanno provato anche ad andare oltre i singoli nodi problematici, allargando il quadro all'(in)adeguatezza complessiva del diritto d’autore vigente ed alle sfide emergenti proposte dagli spazi di rete.
“L’attuale sistema del diritto d’autore avrebbe urgente bisogno di interventi di riforma” ha dichiarato Ferdinando Tozzi. Anzitutto perché, come illustrato dallo stesso rappresentante del Comitato consultivo sul diritto d’autore “mentre i principi contenuti nella disciplina originaria restano validi, molte delle modifiche normative successive sono soltanto delle pezze , inserite per rispondere ad esigenze locali e disarmoniche rispetto all’impianto complessivo”. E poi, ha continuato, anche in ragione dei cambiamenti copernicani intervenuti con internet e le reti sociali, che “hanno determinato un radicale mutamento delle piattaforme di fruizione e produzione delle opere dell’ingegno”.
A giudizio di Tozzi, una possibile via d’uscita dall’attuale impasse del diritto d’autore potrebbe venire da una più estensiva interpretazione dell’ istituto delle utilizzazioni libere , quelle che il diritto chiama “eccezioni e limitazioni”. “Il pagamento di un corrispettivo economico – ha spiegato – dovrebbe essere richiesto nei casi in cui il reimpiego delle opere dell’ingegno risponde a finalità di carattere commerciale, mentre tutte le fattispecie collegate ad istanze culturali e sociali andrebbero ricondotte al regime delle utilizzazioni libere, e quindi sottoposte ad un prelievo ridotto o nullo”.
Più radicale la lettura di Giusella Finocchiaro, a giudizio della quale anche la normativa vigente sarebbe possibile introdurre innovazioni più incisive rispetto alla semplice reinterpretazione delle utilizzazioni libere. “Nel nuovo scenario creato dalla rete – spiega la docente dell’Università di Bologna – la remunerazione economica non è più l’unico caposaldo intorno al quale far ruotare le norme ed altre soluzioni, come ad esempio le licenze Creative Commons, possono essere utilmente incorporate nell’impianto normativo esistente”. Secondo Finocchiaro, infatti, le nuove pratiche legate alla produzione ed alla circolazione della conoscenza in rete realizzano un vero e proprio salto di paradigma: cambia il concetto di mercato e cambia – o almeno è passibile di cambiamento – il concetto stesso di autore , che da individuale si fa collettivo ed apre la strada a forme di produzione innovative.
Sul mutamento di scenario indotto dall’avvento del digitale si è soffermato a lungo anche il Direttore dell’Ufficio Legislativo SIAE Paolo Agoglia. “Oggi ci troviamo di fronte al sovvertimento di categorie non solo giuridiche ma anche logiche – ha spiegato – e gli agglomerati di interessi che si manifestano nel panorama della rete sono diversi da quelli del passato”. Tuttavia, a giudizio di Agoglia, queste trasformazioni non comportano cambiamenti nel ruolo e nelle funzioni della SIAE, giacché nel mondo digitale l’esigenza di proteggere le prerogative economiche degli autori risulta se possibile ancor più stringente . “Certamente è necessario individuare modalità innovative – ha spiegato – ma il nostro compito storico di tutelare i diritti patrimoniali degli autori non viene meno. Sono gli stessi autori a chiedercelo, perché da soli non riuscirebbero a farlo”.
È per sviluppare questa prospettiva, ha spiegato l’alto funzionario, che SIAE sta elaborando per una piattaforma di distribuzione legale dei contenuti, la già preannunciata Legal Bay. Tuttavia, a quanto è dato capire dalle sue parole, il progetto si trova ancora lontano dalla fase attuativa. “In questo periodo – ha detto infatti il dirigente – stiamo lavorando per definire un tavolo con tutti i soggetti che possono essere interessati all’iniziativa. Se esiste un interesse condiviso, ci ritroveremo e ragioneremo sull’attuazione concreta del progetto”.
Molto più concrete e tangibili le prospettive collegate al molto discusso provvedimento riguardante l'”equo compenso” per copia privata, che secondo le stime di Altroconsumo potrebbe fruttare all’ente qualcosa come 250 milioni di euro all’anno. Agoglia ha difeso l’iniziativa spiegando come misure analoghe esistano in tutta Europa, e come i provvedimenti recenti siano di fatto semplici adeguamenti rispetto a regole già da tempo in vigore. “Quello di cui stiamo parlando – ha spiegato – è un principio che esiste fin dal 1992, e che è stato riaffermato anche dal legislatore comunitario. Con il provvedimento inserito nel Decreto Bondi abbiamo soltanto inteso aggiornare la normativa rispetto agli sviluppi tecnologici più recenti”.
Un altro profilo di interesse sollevato durante il dibattito è quello riguardante la necessità di concentrare le energie investigative e repressive sulla pirateria “commerciale” – quella animata da fini di lucro – e parallelamente alleggerire la pressione sulle forme di “pirateria” motivate da istanze culturali e altruistiche. Secondo Tozzi l’adozione di un approccio di questo genere offrirebbe il doppio vantaggio di rafforzare la pressione nei confronti dei pirati “veri” e di togliere argomenti a coloro che approfittano dell’attuale situazione appellandosi alla sua eccessiva rigidità. Su una linea sostanzialmente analoga Agoglia, a giudizio del quale “la modalità sanzionatoria non paga, o meglio serve soltanto per inibire il comportamento di coloro che agiscono per ragioni commerciali”, mentre nei confronti degli altri utenti serve piuttosto “un lavoro culturale e quasi semantico” volto a chiarire che la pirateria non è di per sé né romantica né bella.
Giovanni Arata