Secondo le prime analisi sull’andamento economico dell’Italia nel 2020, è emerso come il particolare tessuto italiano basato sulla microimpresa abbia consentito al Paese di rispondere meglio di altri alle pressioni della pandemia, adattandosi rapidamente alle esigenze emerse e salvando in parte il PIL dalle pressioni di una annata nefasta. Tuttavia medesima struttura rischia di pesare ora nel momento del rilancio, poiché i dati ISTAT fotografano un mondo dell’impresa ancor troppo distante dalle migliori opportunità che il Web è in grado di offrire. Solo un’impresa su dieci, ad esempio, vende oggi direttamente al consumatore finale tramite canali online.
E questo, inevitabilmente, rischia di essere un problema.
Economia ed e-commerce
“Nel 2020 la quota di imprese italiane con almeno 10 addetti che nell’anno precedente hanno effettuato vendite a clienti finali (B2C) tramite propri canali web, piattaforme digitali o intermediari di e-commerce“, spiega l’ISTAT nel proprio Rapporto sul benessere equo e sostenibile (BES 2021), “è dell’11,5%, più che raddoppiata rispetto al 2013 (5,1%)“. Il dato è fortemente differenziato sui territori, con il trittico Bolzano-Trento-Aosta a guidare la classifica, con la Calabria in quarta posizione e con il “nord produttivo” sorprendentemente in ritardo: Lombardia, Emilia e Piemonte sono tutte al di sotto della media nazionale.
L’indicatore, per sua natura, varia molto in base ai settori di attività economica: nel settore dei servizi non finanziari raggiunge il 16,3%, nel manifatturiero scende al 6,6%. Negli anni, le imprese del primo settore hanno registrato una crescita più ampia rispetto a quelle del secondo (nel 2013 erano rispettivamente 8,2% e 2,4%).
Le microimprese risultano essere molto più in ritardo, improntate su sistemi di vendita più tradizionali e locali: le PMI di media dimensione, invece, contribuiscono in modo più sostanziale all’offerta e-commerce e la grande impresa dimostra di aver maturato l’organizzazione e la consapevolezza necessari. L’Europa non brilla in termini di presenza online, ma l’Italia ne è fanalino di coda: questioni culturali, questioni sociali, ma anche questioni di approccio tecnologico che il Vecchio Continente, con i maggiorati investimenti sul digitale e sulla connettività, andrà probabilmente poco per volta a rimarginare nel tempo. L’Italia, sta colmando il gap rispetto all’Europa e nel 2020 questa differenza è stata fortemente ridotta anche per “merito” della pandemia: la pressione economica sul nord-Italia ha accelerato la transizione digitale di molte attività e ciò potrà rappresentare una ricchezza per i mesi a venire. Ma resta ancor molta strada da fare.