IT, chi lavora come può studiare?

IT, chi lavora come può studiare?

Ne parla un lavoratore informatico che vorrebbe seguire un corso di studi ma tra università e azienda non riesce a trovare il modo di farlo. Quali garanzie per i professionisti IT che vogliono crescere?
Ne parla un lavoratore informatico che vorrebbe seguire un corso di studi ma tra università e azienda non riesce a trovare il modo di farlo. Quali garanzie per i professionisti IT che vogliono crescere?

Cara redazione di Punto Informatico, mi chiamo Antonello, vivo a Taranto, ho 26 anni, e sono un lavoratore full-time a tempo indeterminato, quindi forse uno dei pochi della mia “specie” (ormai in via d’estinzione). Il mio lavoro è prettamente informatico: tecnico hardware e software presso un callcenter. Quindi manodopera a go-go su rete lan, switch, PC che si rompono, manutenzione server, righe di codice (si, programmo anche per la intranet) e cose simili. La mia giornata inizia alle 09:30 quando, per prima cosa quando arrivo al PC, vengo a leggere le vostre news, per poi passare al lavoro vero e proprio che termina la sera alle 21.00 circa (mezz’ora più, quarto d’ora meno), orario in cui si fanno le ultime cosine prima di chiudere la giornata lavorativa (backup vari).

Quest’anno ho sentito il bisogno di riprendere gli studi, cosa lasciata anni addietro per una serie di (tragici) motivi che ora non sto ad elencare. Prima ero iscritto alla facoltà di Ingegneria, comunque figlia del politecnico di Bari, ma di riprendere quella determinata facoltà non era cosa: lì i ragazzi “vivono” letteralmente in facoltà, a volte ci dormono anche la notte, pur di riuscire a dare gli esami, ed io con il mio lavoro mi sarei laureato forse nel 2047.

Così ho deciso di laurearmi in “informatica e comunicazione digitale”, approdata da 3 anni qui a Taranto, che si trova a 15 minuti di auto dal mio posto di lavoro. Così, ho pensato, nella pausa pranzo posso recarmi lì, seguire una lezione, prendere appunti, fare qualcosa, tenere d’occhio le varie date.

Ma la brutta sorpresa è arrivata quando ho letto dell’obbligo di frequenza dell’80% delle ore di lezione.

Mi sono chiesto se fosse davvero possibile una cosa del genere, non è assurda per una persona disoccupata, ma per chi lavora è impensabile. Mi sono informato da qualche rappresentante, mi hanno detto che è al lavoro che devo chiedere delle ore per motivi di studio.

A lavoro il mio datore mi ha detto che “gli suona strano, che uno studente lavoratore dovrebbe poter presentare un certificato in facoltà perché non ci si può assentare da lavoro per tre anni (e oltre), che se succede qualcosa in azienda mentre io sono via (ditta privata, non ente statale, chi mi sostituisce?) chi sistema i guasti?”, così mi sono un po’ documentato, ho letto che per il mio contratto ci sarebbero 150 ore annuali di diritto allo studio, che tutto sommato sono un po’ poche, e così sono andato in segreteria studenti, dove mi hanno tolto ogni dubbio: per quella facoltà, non importa che tu sia un lavoratore, devi essere presente per l’80% delle lezioni, con un’aggravante: le 150 ore annuali non sono nemmeno obbligatorie per il datore. Sta comunque a lui decidere se dartele o meno, se permetterti di studiare o se restare a lavoro. E che è “normale” che sia così, i corsi tecnico-scientifici richiedono SEMPRE la frequenza obbligatoria. Ma questo non è vero, perché a Bari al corso di informatica non è obbligatorio. È la situazione di Taranto ad essere disastrata.

Com’è possibile che ci sia una situazione del genere? Com’è possibile che non ci sia un diritto ad assentarsi dalla facoltà? È più importante frequentare le lezioni piuttosto che svolgere un lavoro? Il lavoro lo possono fare solo i dipendenti, lo studio puoi anche farlo a casa. Perché nessuno tutela i lavoratori da questo punto di vista?

Ora, mi chiedo, ci si lamenta perché le università non sono frequentate, si accusa così tanto l’impreparazione del popolo, si ricerca gente iper-preparata nelle aziende, si vogliono lauree e certificati, ma non si dà la possibilità alla gente di studiare. Scusate per lo sfogo, forse non è nemmeno a voi che dovrei rivolgermi, ma essendo un lavoratore IT che vuole seguire una facoltà di informatica, ritenevo opportuno informarVi della situazione in generale, più precisamente qui a Taranto.

Grazie per l’attenzione.

Antonello S.

Caro Antonello
non esiste alcun obbligo di flessibilità reale in capo alle Università italiane sul fronte della gestione delle frequenze, perlopiù sono decisioni che vengono assunte dagli istituti sulle basi delle indicazioni dei docenti.
La sensazione, come scrivi, è che il problema non sia tanto questione delle Università quanto delle normative sul lavoro e delle scarse tutele per la formazione professionale.
Agli atenei si può, semmai, rimproverare di dimenticare troppo spesso le esigenze degli studenti lavoratori, e di non prevedere se non in rari casi corsi e didattica che possano svolgersi in orari inconsueti, al di fuori di quelli tradizionalmente occupati dall’attività professionale.
Cose che è bene tirar fuori, sulle quali molto ci sarebbe da indagare. A partire, forse, proprio dalla tua testimonianza e da quelle che puoi aver così stimolato.
Un saluto, a presto
Adele Chiodi

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Pubblicato il
31 ott 2007
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