A pochi giorni dalla pubblicazione dei dati con cui RIAA ha illustrato il panorama del mercato musicale statunitense del 2015, i dati di FIMI confermano anche in Italia l’ascesa dello streaming in tutte le sue forme.
Cresce il mercato, si rileva nello scenario elaborato da Deloitte per i discografici italiani, e questa crescita del 21 per cento, a raggiungere un fatturato di 148 milioni di euro, si deve all’entusiasmo che i consumatori italiani manifestano rispetto a tutti i formati in cui viene distribuita la musica, a partire dalla musica fisica, con una ripresa del CD, in crescita del 17 per cento per ricavi oltre gli 88 milioni di euro, e con la marcia del vinile, in crescita del 56 per cento, a valere il 4 per cento del mercato.
Se è vero che in Italia, a differenza di quanto avviene negli States, il mercato della musica fisica domina ancora su quello della musica immateriale, è altresì innegabile che la musica digitale rappresenti un traino sempre più determinante. Rispetto al quadro del 2014 gli equilibri si muovono verso il pareggio: nel 2015 il digitale costituiva il 38 per cento del mercato, mentre nel 2015 al digitale si è dovuto il 41 per cento del fatturato .
Sul fronte della musica digitale, i download rappresentano ancora il 13 per cento del mercato complessivo e il 32 per cento del mercato digitale, per un valore di oltre 19 milioni di euro, ma il settore è l’unico in calo ( -5 per cento ). Come nel resto del mondo, anche in Italia il consumo di musica in streaming sta rubando la scena ad una fruizione digitale che ricalca il tradizionale modello dell’acquisto, senza probabilmente riuscire a soddisfare appieno il consumatore che spende per possedere la musica con il relativo paratesto.
È così che il consumo di flussi di musica in streaming è valso nel 2015 il 28 per cento del mercato italiano e il 68 per cento del comparto digitale , per oltre 41 milioni di euro di fatturato, in crescita del 54 per cento rispetto al 2014.
In particolare, sottolinea FIMI, “servizi come TIMmusic, Spotify, Apple Music, Google Play e Deezer (…) trascinano i servizi in abbonamento, soprattutto premium”: i servizi a pagamento hanno raggiunto nel 2015 un valore di quasi 27 milioni di euro, oltre 10 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente ( +63 per cento ). I servizi fruibili gratuitamente, supportati dalla pubblicità, rendono invece poco più di 14 milioni di euro, e crescono meno vertiginosamente rispetto ai corrispettivi su abbonamento (+38 per cento rispetto al 2014): “è evidente che i servizi sostenuti da pubblicità, benché generino un numero di stream elevato, producono ricavi molto contenuti evidenziando un significativo gap di valore per gli aventi diritto”, rileva FIMI.
Gaia Bottà