“Siamo di fronte a un accordo privato che di fatto istituisce un regime speciale di gestione dei diritti a favore di una singola impresa. Il che è senza precedenti – questa l’opinione dell’Associazione Italiana Editori (AIE) – in quanto le eccezioni del diritto d’autore sono sempre stabilite invece dalla legge e a favore del pubblico, non di un singolo”. AIE ha preparato così il terreno allo scontro con il servizio Google Books, confronto che si alimenterà con la prossima audizione in Commissione Europea sull’accordo che ha chiuso la class action tra Mountain View e le associazioni di editori e autori statunitensi.
“Il Settlement – si può leggere in un comunicato ufficiale sul sito di AIE – prevede che Google possa digitalizzare e vendere in diverse forme le opere fuori commercio a meno che gli autori o gli editori non dispongano diversamente registrandosi in un apposito Registro”. Questo costituirebbe, stando ad una lista di obiezioni stilate dagli editori italiani e inviata alla Corte di New York, una grave violazione della Convenzione di Berna sul diritto d’autore che non contempla una tutela delle opere soggetta a registrazioni di qualsiasi natura.
In sostanza, AIE teme che Google abusi della propria posizione e che innalzi delle barriere all’ingresso del mercato a sfavore degli attori che vorrebbero parteciparvi. Non è, tuttavia, soltanto una questione di libera concorrenza per gli editori del Belpaese: “È infatti dell’81 per cento il tasso di errore del database di Google Books nel considerare come fuori commercio (e quindi liberamente digitalizzabili) le opere di 18 importanti autori del Novecento”.
È l’inizio di un documento allegato al comunicato sul sito ufficiale e prontamente inviato alla Corte di New York che si pronuncerà in prima udienza il 7 ottobre. AIE ha analizzato 274 opere scritte da personaggi della cultura italiana come Dario Fo, Andrea Camilleri e Italo Calvino, scoprendo che 222 di queste hanno tuttora almeno un’edizione considerata da Google fuori commercio , quindi vergata con caratteri elettronici senza regolare autorizzazione degli aventi diritto. E, tra i 7 milioni di libri già digitalizzati, le opere del Novecento italiano sono risultate presenti con un tasso del 91 per cento.
“L’approccio di Google è totalmente diverso dal nostro – ha dichiarato Piero Attanasio, direttore tecnico del progetto Arrow , coordinato da AIE per la gestione tecnologica dei diritti per le biblioteche digitali – invece di utilizzare a pieno le tecnologie di rete, hanno deciso di accumulare in un’unica banca dati centrale oltre 60 milioni di record, di fonti diverse, combinati in modo non trasparente”. E questa stessa banca dati avrebbe partorito non centinaia, ma milioni di errori , evidenziati a penna rossa anche dai ricercatori universitari degli Stati Uniti.
In un recente post , infatti, Geoffrey Nunberg, docente alla School of Information alla Berkeley University , ha messo in luce diversi errori presenti nei metadati utilizzati da Google nei suoi database per Book Search. Nell’anno 1899 sarebbero stati pubblicati Christine di Stephen King, la biografia su Bob Dylan a firma Robert Shelton e un’edizione portoghese di Yellow Submarine versione cartacea. Pronta la risposta dell’ engineering manager Google Jon Orwant: “Ci sono milioni di errori come questo e stiamo facendo tutto il possibile per eliminarli. Abbiamo avuto miglioramenti sostanziali durante lo scorso anno, ma siamo tutti d’accordo nell’affermare che c’è ancora tanto lavoro da fare”.
Lavoro che Google dovrà affrontare non soltanto per eliminare gli errori dei suoi database, ma anche per fronteggiare gli attacchi ripetuti da parte di tutto il fronte critico che ha serrato i ranghi dopo il patteggiamento da 125 milioni di dollari. Amazon, attiva nello stesso settore dei libri digitali, ha definito l’accordo tra Book Search e gli editori statunitensi un pericoloso precedente che potrebbe danneggiare l’innovazione tecnologica e ostacolare le leggi in materia di copyright.
Dichiarazioni agguerrite da parte di un’azienda direttamente concorrente sul mercato, che tuttavia hanno trovato alleati istituzionali come le autorità tedesche che non hanno mostrato di gradire troppo un accordo che andrebbe ad ignorare le norme di Berlino sul diritto d’autore. E ad aggiungersi alla coda di critiche è stata anche la Federal Trade Commission (FTC) che ha suggerito a Google di pensare al più presto a concreti piani in materia di privacy, per “limitare usi secondari dei dati raccolti attraverso Google Books, in particolare quegli utilizzi contrari alle aspettative dei consumatori”. Anche in questo caso la Corte di New York dovrà esprimersi ad ottobre, cercando di terminare questo nuovo capitolo (elettronico).
Mauro Vecchio