Non importa che fruitore ed esecutore siano divisi da uno schermo: secondo la Corte di Cassazione, le prestazioni sessuali a pagamento in videoconferenza sono da considerare prostituizione .
Con la sentenza n.37188 la Suprema Corte respinge il ricorso dei gestori di un night club di Firenze, i quali sostenevano che prestazioni di tal genere da loro erogate non possano rientrare nel reato di sfruttamento della prostituzione (essendo i gestori in questo caso degli intermediari tra ragazze e clienti). Gli ermellini confermano , dunque, la condanna della Corte d’Appello per le prestazioni a pagamento esercitate nel locale da ballerine e spogliarelliste.
Il pronunciamento della Terza Sezione Penale della Cassazione è chiaro : “Le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali determinati assume il valore di atto di prostituzione e configura il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento creando i necessari collegamenti via internet o ne abbiano tratto guadagno”.
Secondo l’orientamento dei giudici, quindi, risulta irrilevante la distanza determinata dall’apparecchio elettronico: perché si configuri il reato, è sufficiente che ci sia la richiesta della prestazione sessuale da una parte, il compimento della stessa dall’altra e il relativo pagamento.
Anche se il Web continua e continuerà a dividersi tra censori e promotori del sesso online, ora esiste una certezza, almeno in Italia: se fatto a pagamento con intermediari, è reato.
Cristina Sciannamblo