Roma – In Italia, e in particolare nel settore pubblico, si spende poco e male in informatica. Questo, in estrema sintesi, il giudizio di AITech-Assinform , l’associazione delle imprese IT italiane, che al Forum PA in corso a Roma ha presentato un quadro del mercato del tutto deludente.
I dati di un’indagine svolta dall’Associazione, infatti, parlano di un crollo degli investimenti da parte della Pubblica Amministrazione: – 38 per cento. Ed emerge, spiegano gli esperti, “la mappa di 30 piccole IRI dell’informatica che coprono il 46 per cento della domanda pubblica locale a costi interni ben più alti della media di settore”. Tutto questo a fronte di un deficit con l’estero dell’industria IT di 678,5 milioni di euro (dati di novembre 2005).
In definitiva, spiega AITech-Assinform, l’Italia spende in investimenti per l’innovazione l’1,9 per cento del proprio Prodotto Interno Lordo quando in Europa la media è del 3 per cento. Ma l’aspetto più preoccupante secondo le imprese di settore sta nelle modalità in cui la PA italiana si procura le proprie risorse informatiche. Si parla esplicitamente di aree protette che tendono ad escludere i privati a favore di società pubbliche costituite ad hoc: il 46 per cento della domanda della PA è coperta da queste ultime e dai servizi interni dell’Informatica ma anche delle TLC. Un fenomeno, sostiene l’Associazione, particolarmente sviluppato presso gli enti locali (Regioni, Province e Comuni) e presso le aziende municipalizzate. “Fra queste – spiegano gli esperti – spicca l’Emilia e Romagna con ben 5 aziende d’IT, seguita dal Lazio con 4, Toscana 3, Lombardia e Sicilia 2”.
Tutto questo ha fatto sì che quelle società abbiano visto salire mediamente i propri ricavi del 15 per cento e in alcuni casi ancora di più, fino addirittura al 100 per cento . Dati che – spiega AITech-Assinform – non trovano riscontro in alcun mercato dei servizi IT. “È come una polizza a vita – sottolinea il presidente di AITech-Assinform, Ennio Lucarelli, parlando delle società pubbliche – offrendo un gonfio portafoglio di commesse senza rischi, senza passare da alcuna selezione e, a volte, senza controlli”. Una dimostrazione secondo l’Associazione viene dal dato che i costi interni pro capite di queste aziende pubbliche sono ben più elevati rispetto a quelli delle imprese private , registrando un costo medio di 72.650 euro per addetto a fronte di una media del settore di 43.700 euro per addetto (rilevato dall’ISTAT per l’anno 2003).
L’accusa è chiara: così operando la PA, in particolare quella locale, introduce distorsioni del mercato che danneggiano tanto le imprese di settore quanto l’Erario, cioè i cittadini.
L’Associazione parla esplicitamente di una protezione pubblica che fa da ombrello ad una serie di società pubbliche che, di fatto, vivono al di fuori del mercato, in un’area protetta, assumendo una quantità di commesse che avrebbero lo scopo o l’effetto, quantomeno, di stimolare il settore IT italiano. Conseguenza di ciò è una maggiore debolezza dei privati, che tra l’altro, come sottolinea Lucarelli, devono fare i conti anche con le “altre attività” delle società pubbliche: “Il rilevante potere politico e le disponibilità economiche di queste stesse società pubbliche le favoriscono nella partecipazione in altre regioni a gare condotte da strutture consorelle, allargando i confini di un circolo vizioso e non virtuoso”.
“Malgrado gli sforzi compiuti nell’e-government e nella banda larga – attacca Lucarelli – la Pubblica Amministrazione italiana non solo continua a spendere poco e male in tecnologie informatiche rispetto a quanto avviene nei paesi europei nostri concorrenti, ma una parte sempre più rilevante della spesa pubblica in IT è assorbita dalla stessa PA. Ciò significa che la domanda pubblica sta sempre più venendo meno alla sua funzione di stimolo di un’offerta di servizi innovativi qualificata, per trasformarsi in uno strumento di condizionamento politico del mercato, a discapito della crescita e della competitività del sistema”.
L’indagine “La domanda pubblica d’Information Technology: criticità e risorsa per il Paese” racconta di come l’Italia rimanga un grande importatore di tecnologie e servizi informatici , come si evince dal “profondo rosso” della bilancia dei pagamenti IT, che ha chiuso il 2004 con un passivo di 519 milioni di euro, mentre si annuncia per il 2005 un trend in ulteriore peggioramento, che a novembre scorso, come accennato, ha fatto segnare un deficit di 678,5 milioni di euro.
E i dati sul fronte europeo sono sconfortanti: la spesa IT della PA è stata nel 2004 poco più della metà di quella francese e tedesca, e un terzo di quella inglese. La PA italiana spende 51,3 euro in informatica per abitante, rispetto ai 147 euro spesi dall’amministrazione pubblica del Regno Unito per ogni suddito britannico, ai 96 euro dell’Olanda, agli 86 euro della Francia, 72 della Germania, 63 dell’Irlanda fino ai 56 euro spesi dalla Spagna. Svezia, Danimarca e Finlandia spendono rispettivamente 254, 232 e 188 euro.
Tutto questo cambierà? Per ora parrebbe di no : lo studio dell’Associazione spiega come le risorse stanziate in Finanziaria vedono una ulteriore diminuzione degli investimenti della PA pari al 38,9 per cento nel 2006 rispetto al 2005.