La Corte di Cassazione ha confermato la tassa di concessione “per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione” contro cui si erano schierati Comuni, operatori del settore e contribuenti che ne chiedevano il rimborso.
La discussa tassa era al centro del ricorso presentato da alcuni Comuni del Veneto, dell’Emilia Romagna e della Lombardia, tra cui Milano, che ne contestavano la legittimità, così come già aveva fatto diversi operatori del settore nonché varie associazioni a tutela dei consumatori che hanno adito le vie legali per chiedere il rimborso dell’obolo sugli abbonamenti della telefonia .
Ogni anno il tributo (5,16 euro al mese sugli abbonamenti delle persone fisiche e 12,91 euro su quelli delle imprese) genera per le casse dello Stato circa 800 milioni: naturalmente bisogna considerare che non si tratta di denari redistribuiti dalle tasche dai consumatori allo Stato e che qualsiasi misura che aumenta i costi inevitabilmente finisce per influenzare la questione della diffusione delle connessioni nel Paese e, quindi, il digital divide che a parole il Governo vorrebbe combattere.
Ciò nonostante già la sentenza 8825 era intervenuta contro lo stratagemma adottato dagli operatori (un cambio della forma assunta dagli abbonamenti) stabilendo che l’assenza di un contratto di licenza non determinasse la decadenza della necessità di pagare tale tassa, ma che questa fosse indissolubilmente legata al tipo di prestazione e non alla presenza o meno di un contratto di licenza.
La Cassazione, cui era alla fine giunta la questione, aveva deciso di rimettere tutta la materia all’esame delle sezioni unite, anche per l’elevato numero delle cause e dei ricorsi ancora pendenti a riguardo: dopo aver preso atto , con il verdetto 9565 dello scorso due maggio, della permanenza della tassa per effetto del decreto legge 4/14 messo a punto dal governo proprio per anticipare la decisione della Cassazione e scongiurare il rischio di dover rimborsare ai contribuenti quasi 13 euro mensili di tassa a decorrere dagli ultimi dieci anni, la sezione unita della Corte suprema è ora intervenuta dando il via libera a tale decreto che nega a Comuni e contribuenti il rimborso della tassa.
Con la sentenza 19463 , infatti, la Cassazione stabilisce che, nonostante la liberalizzazione del settore, il decreto legge 4/14 “non costituisce una interferenza dei poteri esecutivo e legislativo nell’amministrazione della giustizia”.
Esso, piuttosto, è “intervenuto in presenza di un contrasto interpretativo che ha diviso la giurisprudenza sia in sede di merito che in sede di legittimità”, funzione assolutamente riconosciuta come legittima per la giurisprudenza costituzionale “anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” (così la Corte Costituzionale con la decisione 209/10, punto 5.1 della motivazione).
In generale, poi, la Cassazione ha stabilito che l’attività di fornitura di servizi di comunicazione elettronica, pur caratterizzata da una maggiore libertà rispetto alla normativa precedente, resta comunque assoggettata ad un regime di autorizzazioni da parte della P.A. , e ribadisce, rispetto al precedente parere della Cassazione con la sentenza n. 23052/12, che “con la particolarità che il contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile si sostituisce alla licenza di stazione radio, e che tale permanente regime autorizzatorio, pur contrassegnato da maggiori spazi di libertà rispetto al passato, giustifica il mantenimento della tassa di concessione governativa prevista per l’utilizzo degli apparecchi di telefonia mobile.”
La Cassazione, inoltre ha negato la violazione della normativa europea relativa alle telecomunicazioni “non osta ad una normativa come quella relativa alla tassa di concessione governativa, in quanto tale direttiva si applica alle autorizzazioni per la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, mentre la tassa di concessione governativa, in quanto tassa sull’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione, non ha, come base imponibile, la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica; con la precisazione che l’uso privato di un servizio di telefonia mobile da parte di un abbonato non presuppone la fornitura di una rete o di un servizio di comunicazione elettronica, ai sensi della “direttiva autorizzazioni””.
<Claudio Tamburrino