Il reato di sfruttamento della prostituzione online non investe coloro che forniscano servizi di registrazione di nome a dominio, di hosting, di manutenzione dei siti a soggetti sospettati di aver commesso questo reato, non sono responsabili di concorso del reato di sfruttamento della prostituzione online i titolari dei siti che vengono pagati per ospitare dei banner attraverso cui si proponga un mercimonio di corpi. La responsabilità non si dispiega a catena sui fornitori di servizi: a stabilirlo, una sentenza del GIP di Roma che, affrontando il nodo della responsabilità penale dei provider, ha prosciolto gli attori che avevano fornito servizi telematici ad un sito con contenuti presuntivamente illeciti. Punto Informatico ne parla con l’avvocato Fulvio Sarzana di S.Ippolito, legale di uno dei due provider.
Punto Informatico: Quale la novità della sentenza del GIP di Roma?
Fulvio Sarzana: La sentenza del GIP di Roma costituisce, nel settore della responsabilità penale dei provider, il primo precedente giudiziale conosciuto in Italia nel quale viene sancita in maniera chiara l’assenza di responsabilità dello stesso provider per le attività poste in essere dal titolare di un sito internet che espone contenuti sulla rete idonei a configurare un reato. Ci sono stati nel passato altri procedimenti civili che avevano “sfiorato” la materia da una prospettiva diversa, quella civilistica.
Un altro principio importante che si nota dal provvedimento è che i titolari di siti che posizionano banner pubblicitari di siti che potrebbero violare le norme penali non possono rispondere a titolo di concorso nel reato. La differenza con il passato sta ovviamente nel diverso impatto che una sentenza penale (sinora unica nel suo genere) può avere rispetto ai principi stabiliti dalle Corti Civili nonché nell’ausilio che tale provvedimento potrebbe dare a chi si trova coinvolto in vicende dai risvolti penalisitici.
PI: Come si è svolto l’iter giudiziale e come si è arrivati a questa sentenza?
FS: La sentenza di non luogo a procedere è stata emessa al termine dell’udienza preliminare e ha previsto il proscioglimento del Provider che aveva fornito servizi di hosting, di manutenzione e assistenza al sito riconducibile a presunte prestazioni sessuali online, e di quello che aveva registrato il nome a dominio del sito e che aveva ospitato sul proprio sito un banner pubblicitario riconducibile al sito incriminato. Si tratta del primo provvedimento edito che sancisce in maniera chiara, da una prospettiva penalistica, l’assenza di responsabilità del fornitore di servizi telematici (sia esso un soggetto che registra domini, che fornisce assistenza e spazio web o che mette banner pubblicitari sul proprio sito) per i reati compiuti dal titolare di un sito internet.
PI: Quali sono i punti salienti della sentenza?
FS: Per quanto riguarda la responsabilità da posizionamento da banner la sentenza ha affermato espressamente che “risulta irrilevante (ai fini del concorso del reato in contestazione) il riferimento nell’informativa di P.G. all’inserzione pubblicitaria della ditta XXXX riconducibile all’imputato ovvero al sito xxxxxx , non rientrando le relative condotte nello specifico fatto-reato oggetto dell’imputazione”.
In tema di responsabilità dell’hosting provider la sentenza ha espressamente affermato che “ad analoga conclusione deve pervenirsi nei confronti del coimputato, non essendo emersi specifici elementi di collegamento tra la ditta xxx e il sito xxxxxx tali da ritenere la sussistenza di un concorso di quest’ultimo nell’attività svolta dal coimputato, non risultando in particolare, la sussistenza di un profitto economico del primo legato all’utilizzo del sito e delle ragazze offerte ed essendo la sua attività limitata a quella di assistenza e manutenzione degli spazi web concessi ai clienti; consegue la declaratoria di non luogo a procedere per insussistenza del fatto”.
PI: La sentenza sembra fondare la responsabilità penale dei provider a titolo di concorso solo nei casi nei quali ci sia stata una diretta partecipazione economica ai profitti legata al sito, è così?
FS: La sentenza, interpretando per la prima volta in una sede penale le disposizioni del D.Lgs. 9 aprile 2003, n.70 che si pone come normativa di riferimento nel delineare le ipotesi di responsabilità penale del provider, ha affermato il principio in base al quale lo stesso provider non può essere considerato responsabile del concorso nel reato se non si prova che abbia avuto un vantaggio economico diretto dalle attività presenti sul sito incriminato.
Sotto questo profilo la sentenza sembra andare anche al di là del disposto normativo già citato che, stante un obbligo di sorveglianza preventiva del provider nelle attività compiute dal titolare di un sito estraneo alla propria attività, canonizza comunque la responsabilità del provider che sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, non agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.
Secondo il GIP quindi basterebbe in sostanza la prova dell’assoluta estraneità del provider alle attività del titolare del sito per escludere la responsabilità penale dell’imprenditore “telematico”. Per fondare la responsabilità quindi si deve trattare di un profitto diretto perché in caso contrario, come avviene anche nel profitto che si ricava dai banner pubblicitari, non sussiste la responsabilità in concorso. Quindi se il provider o il titolare del sito guadagnano genericamente dalla prestazione dei servizi, senza partecipare ai profitti del titolare del sito, in linea teorica, e, secondo la ricostruzione del GIP, non dovrebbero essere considerati responsabili.
PI: Quale impatto potrà avere questo provvedimento del Giudice di Roma (e altri che dovessero seguire) sulla discussione in atto, in Parlamento e non, sulla responsabilità dei provider per i reati commessi dagli utenti?
FS: La sentenza è di assoluto rilievo perché interpreta in maniera corretta le norme Comunitarie e nazionali sulla responsabilità degli intermediari, escludendo in radice le “derive” restrittive delle norme che vorrebbero il provider assumere la veste di “poliziotto della rete” e che in questi ultimi mesi sono sfociate anche in diversi provvedimenti presentati alle Camere, dalle note proposte di legge Carlucci sino alla proposta di legge Barbareschi.