Roma – C’è voglia di software pirata in Italia, parola di BSA, ovvero Business Software Alliance , l’alleanza dei produttori di software proprietario da sempre impegnata a combattere l’uso illecito del software e che in queste ore ha reso pubblico il suo rapporto annuale. Un rapporto che non sembra lasciare margini ai dubbi: nel 2005 l’uso pirata dei programmi è aumentato rispetto al 2004 e questo nonostante le politiche repressive e le molte operazioni delle forze dell’ordine contro questo fenomeno.
Lo studio di BSA non riguarda solo l’Italia, è globale, ma traccia uno scenario per il nostro paese che mette in allarme i produttori di software. In Italia il tasso di software pirata sui PC è passato dal 50 per cento del 2004 al 53 per cento del 2005 . Ciò vuol dire che più della metà del software installato è illegale. “Si tratta – afferma BSA – della crescita più elevata dal 2000”. Il 2000 non è un riferimento casuale, in quell’anno infatti vennero introdotte norme più restrittive sul diritto d’autore poi “rafforzate” da una serie di altri provvedimenti, incluso il recepimento italiano della direttiva europea EUCD .
Secondo BSA il fenomeno della pirateria si traduce in costi pesantissimi per l’industria , e non solo per i grandi produttori ma anche per i fornitori di servizi informatici. Un insieme di “danni” che sarebbero causati dalle mancate vendite e dall’uso abusivo che l’Alleanza calcola per la sola Italia, nel 2005, in 1,564 miliardi di dollari, in aumento rispetto agli 1,5 miliardi valutati nel 2004.
Ovvio lo sconforto di BSA dinanzi a queste cifre, come sottolinea il presidente di BSA Italia, Francesca Giudice: “È sconcertante assistere a un ulteriore incremento nel tasso di pirateria in Italia. E questo in un anno che ha visto intensificarsi notevolmente l’impegno delle forze dell’ordine nel contrasto del fenomeno e la collaborazione di BSA alle loro attività”.
I dati italiani, inoltre, appaiono in controtendenza rispetto alle rilevazioni internazionali. Nonostante la forte diffusione di programmi pirata nel Mondo, e specialmente nei paesi asiatici, BSA-IDC rilevano che nel 2005 il tasso di pirateria globale rimane invariato rispetto al 2004 a quota 35 per cento. Questo dato non deve ingannare, sostiene BSA, perché l’espansione naturale del mercato IT nei paesi emergenti aumenta le perdite per il settore informatico, giunte nel complesso a 34 miliardi di dollari . Gli Stati Uniti, peraltro, che “vantano” il 21 per cento di pirateria sul software dei PC, la percentuale più bassa nel Mondo, rimangono il paese che produce per il settore IT, nelle stime di BSA, le perdite più elevate.
Ma se in Asia e in paesi dell’est europeo, africani e mediorientali, le numerose operazioni di sensibilizzazione avviate dai produttori danno i primi risultati, è l’Europa occidentale a far venire i capelli dritti alle major del software. Si tratta infatti di mercati “maturi”: oltre all’Italia, il tasso di pirateria in un anno è cresciuto del 3 per cento anche in Spagna e Portogallo, e del 2 in Francia.
L’unica risposta possibile, secondo l’Alleanza dei produttori, sta nel diretto coinvolgimento dei governi affinché aumentino investimenti specifici contro la pirateria, campagne di informazione e di educazione e via dicendo. “Le principali cause di questa grave crescita del fenomeno in Italia sono la persistenza di comportamenti illegali nelle PMI, e la sempre maggiore diffusione della cosiddetta pirateria di strada e dello scambio illecito su Internet – precisa Giudice – Nel mondo delle PMI e degli studi professionali il ricorso all’utilizzo di software piratato continua infatti ad essere considerato come la prima opzione per ridurre i costi e fronteggiare la congiuntura economica negativa, ma si tratta di un rimedio effimero e altamente rischioso per via delle potenziali conseguenze che potrebbero insorgere a carico dell’azienda e dei singoli responsabili”.
BSA ricorda nell’occasione un precedente studio realizzato con IDC, secondo il quale “un’eventuale riduzione di dieci punti che portasse al 25% il tasso di pirateria globale, riuscirebbe a creare in tutto il mondo 2,4 milioni di nuovi posti di lavoro, 400 miliardi di dollari di crescita economica e 67 miliardi di dollari di nuovo gettito fiscale”.