L’intergruppo innovazione della Camera dei Deputati ha presentato con una conferenza stampa un progetto di legge per la sharing economy , con l’obiettivo di inquadrare dal punto di vista legislativo e fiscale tutte quelle piattaforme digitali che puntano a far incontrare domanda e offerta tra privati, da Airbnb a Uber.
Si tratta di un testo composto di 12 articoli cui ha collaborato anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) e che cerca di affrontare le questioni emerse nell’arco di un anno di studio e dibattito su tale realtà definita come fondamentale da Antonio Palmieri di Forza Italia, fra i fondatori dell’intergruppo: d’altra parte le ultime statistiche di settore, redatte da PriceWatrhouseCooper , segnalano che il 62 per cento degli italiani ha provato dei servizi della sharing economy e che questa nel 2025 varrà 235 miliardi di dollari .
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– Stefano Quintarelli (@quinta) 2 marzo 2016
La prima firmataria della proposta di legge è invece Veronica Tentori del PD che ha spiegato che interesserà le piattaforme della sharing economy in maniera trasversale rispetto al settore di riferimento: queste sono definite come quelle piattaforme che mettono in contatto gli utenti con la finalità di “ottimizzare l’allocazione delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi tramite digitale”.
La proposta, inoltre, prescrive che “i beni che generano valore per la piattaforma” debbano appartenere agli utenti operatori e che questi non debbano avere alcun rapporto subordinato con essa: una questione, questa, che potrebbe dare qualche grattacapo a Uber il cui rapporto con gli autisti è al centro di diverse controversie per esempio negli Stati Uniti .
Le piattaforme che rientreranno in questi paletti dovranno “dotarsi di un documento di politica aziendale che è soggetto al parere vincolante e all’approvazione dell’AGCM”, che è peraltro l’organismo che dovrà vigilare sull’attività delle piattaforme di sharing economy. Il documento aziendale deve tra l’altro includere le condizioni contrattuali tra la piattaforma digitale e gli utenti gestori e non potrà contenere per questi oneri aggiuntivi, come l’esclusività della prestazione professionale, il controllo sull’esecuzione della prestazione da parte dell’operatore o la fissazione di tariffe obbligatorie.
Infine, a livello fiscale , la normativa prevede un’aliquota al 10 per cento che funge da sostituto di imposta sugli introiti generati dall’utente tramite piattaforme di sharing economy e valida solo per la fatturazione fino ai 10mila euro, oltre ai quali il reddito viene cumulato a quello personale. Nella normativa si parla di tale reddito, cumulativo per tutti i portali di sharing economy, come di “reddito da attività di economia della condivisione non professionale”.
Tale idea, come la normativa, trae ispirazione anche dalle istanze di Gnammo, portale di social eating italiano che ha sostenuto fortemente la necessità di una normativa e che sostiene che i suoi cuochi “possono far parte della community finché non raggiungono i cinquemila euro di reddito all’anno. Superata la soglia, stop, perché l’attività diventa professionale”
Il maggior gettito previsto, conseguente alla regolamentazione di transazione finora escluse dalla tassazione, sarà teoricamente dedicato all’innovazione, sotto forma di sgravi fiscali ed incentivi.
Si tratta , comunque, ancora solo di una proposta di legge per cui si apre ora una fase di tre mesi di consultazione pubblica sul sito degli Stati generali dell’Innovazione per accogliere segnalazioni e commenti da parte delle parti sociali interessate.
Claudio Tamburrino