Avrebbero dovuto lavorare per contribuire a colmare il divario digitale italiano con la posa della fibra alimentata da fondi statali: i cantieri in Sardegna erano stati aperti, i collaudi e i controlli rendevano conto del fervere delle operazioni, ma i lavori non procedevano affatto.
La Guardia di Finanza di Cagliari lo ha accertato nel corso dell'”Operazione Pincer”: sulla base dell’ipotesi di truffa ai danni del Ministero dello Sviluppo Economico, a quattro cittadini italiani sono stati notificati gli avvisi di chiusura delle indagini, sospettati per il reato di concussione, truffa aggravata, falso ideologico e frode nelle pubbliche forniture, e sono stati sequestrati beni per 650mila euro.
Ad essere coinvolti nelle indagini, in corso fin dal 2009, sono un 45enne di Corciano, project manager e procuratore di Imet Spa, società perugina che si era aggiudicata i lavori, insieme a un 49enne sardo e a un 54enne di Gubbio responsabili del cantiere di Imet: erano impegnati nel portare avanti l’opera di posa della fibra ottica commissionata con l’appalto indetto per la Sardegna nel contesto del Programma di Sviluppo della Banda Larga nel Mezzogiorno, che per la Regione stanziava 6 milioni di euro.
Secondo le accuse, i tre uomini si relazionavano con un 67enne di Vasto (Chieti), ingegnere e direttore dei lavori di Infratel Spa, società a partecipazione pubblica costituita nel 2003 con lo scopo di gestire i lavori di creazione e capillarizzazione dell’infrastruttura di rete italiana: incaricato di monitorare lo svolgimento dei lavori, si sarebbe mostrato compiacente nell’emettere false certificazioni sullo stato di avanzamento delle opere.
Gli investigatori delle Fiamme Gialle si sono concentrati sui rilievi di natura tecnica e sull’analisi della contabilità delle aziende: si sospetta che Imet abbia ottenuto indebiti pagamenti per 440mila euro, per lavori di posa di fibra ottica di fatto mai realizzati. I lavori, pare , si svolgevano piuttosto nel contesto della “lussuosa villa” di Vasto, intestata alla moglie del funzionario di Infratel, e soggetta ad una ristrutturazione che secondo gli inquirenti potrebbe costituire “il prodotto ed il profitto del reato di concussione”.
Gaia Bottà