Milano – Come sarebbe il mondo, e l’Italia, se la pirateria sul software diminuisse di qualche punto percentuale? La domanda potrebbe apparire retorica se non riguardasse milioni di italiani, i soldi dei contribuenti, centinaia di migliaia di imprese e una enorme quantità di denaro. Una domanda a cui ha voluto tentare di dare una risposta Business Software Alliance che ha realizzato con IDC uno studio dettagliato , paese per paese, per cercare di capire cosa accadrebbe in un mercato reso “diverso” da una minore incidenza di software illegale. Con benefici che secondo BSA vanno ben oltre l’industria del software.
In particolare per quanto riguarda il Belpaese, IDC-BSA sostiene che qualora la pirateria sul software venisse ridotta nei prossimi quattro anni di 10 punti percentuali, allora si creerebbero 6mila nuovi posti di lavoro “di alto livello” e 2,8 miliardi di euro di valore infuso nell’economia italiana.
Oggi BSA stima che il 51 per cento del software in Italia sia pirata , un’espressione in cui rientra sia il software acquisito illegalmente, ad esempio copiato e masterizzato, sia quello utilizzato in modo non previsto dalla licenza d’uso, ad esempio su un numero di macchine superiore a quelle consentite (underlicensing). Da qui al 2011, con il tasso di pirateria attuale e invariato, si parla di una previsione occupazionale di 240mila posti di lavoro con 28 miliardi di euro di fatturato , pari al 6 per cento del PIL, e 21,7 miliardi di euro di entrate fiscali.
In questo scenario, un calo del tasso pirateria di 2,5 per cento all’anno aumenterebbe di quasi 6.200 unità il numero dei posti di lavoro, di quasi 763 milioni di euro le entrate fiscali e di oltre 2,1 miliardi il fatturato complessivo “per il settore IT”. Nei 42 paesi monitorati per lo studio, le proiezioni BSA parlano di 600mila nuovi posti di lavoro complessivi, 141 miliardi di dollari di fatturato in più e 24 miliardi di dollari di entrate fiscali.
Sono numeri imponenti, basati anche sull’idea che chi si privasse di prodotti pirata sarebbe comunque disponibile ad acquistare licenze legali sostitutive, un assunto di difficile dimostrazione ma che si basa sull’esperienza di BSA nel contrasto alla pirateria: il grosso delle imprese colte ad utilizzare software illegalmente si mette generalmente in moto per rientrare nella legalità. IDC ha usato algoritmi dedicati per individuare un nesso tra una riduzione della pirateria sul software e un aumento delle entrate per le aziende, per come queste si riflettano in maggiori investimenti in servizi IT, nell’assunzione di personale e nelle entrate fiscali.
Ma la novità forse più interessante dello studio è che nei numeri sia considerato anche l’open source . A differenza di quanto accaduto in passato, infatti, e con l’idea di dare un quadro il più possibile complessivo del mercato del “software legale”, IDC ha non solo considerato la vendita di software open source come vendita di software a costi ridotti o costo zero, ma ha anche valutato l’indotto occupazionale, economico e fiscale dei servizi e che l’adozione delle piattaforme libere può provocare.
IDC avrebbe anche calcolato un effetto locale dell’antipirateria: per ogni dollaro speso in software legittimo, 1,25 dollari vengono spesi mediamente per servizi sul software, formazione del personale, manutenzione e questo denaro va per la gran parte in mano ad imprese locali “con la conseguenza – sottolinea BSA – che la parte preponderante dei benefici economici derivanti dalla riduzione della pirateria software rimangono all’interno del Paese”. Va peraltro detto che il dollaro speso in software legale è, pur con qualche eccezione, destinato alle grandi corporation del software nordamericane.
Può senz’altro destare attenzione il fatto che nelle ricette per ridurre la pirateria alcuni analisti ci vedano la necessità di nuove leggi , attenzione dovuta al fatto che in Italia, nel corso degli ultimi sette anni, sono state compiute non meno di sei importanti modifiche alle leggi sulla tutela della proprietà intellettuale. È di questa idea Antonio Romano, direttore generale IDC Italia e Iberia, secondo cui anche per spingere all’innovazione “il mondo politico dovrebbe valutare con attenzione l’adozione di misure atte a ridurre la pirateria software, anche nell’ottica dei vantaggi economici derivanti da un rafforzamento dei settori del software e dell’IT nel Paese. È evidente infatti che la riduzione di questo fenomeno comporta vantaggi reali per aiutare persone reali alle prese con problemi reali”.
Giovanni Kessler , nominato dal Governo Prodi alto commissario per la lotta alla Contraffazione , rimanda più che a nuove leggi ad un problema di tipo culturale : è lì la battaglia che va giocata, perché “pirateria e contraffazione vanno affrontate con la consapevolezza che non sono solo un furto ai danni delle società titolari di marchi e licenze ma anche un’azione diretta di evasione fiscale, un danno recato a tutta l’economia e a tutti i cittadini, un incentivo indiretto alla criminalità organizzata di natura mafiosa. Nel caso specifico della pirateria informatica questo legame è poco visto ma è assolutamente reale. Comprare software coperti da proprietà intellettuale da produttori e venditori abusivi è alimentare un crimine”.