Italia, RFID e UHF finalmente sposi

Italia, RFID e UHF finalmente sposi

Di recente è stato varato il decreto con il quale vengono completamente liberalizzate le radio frequenze per i dispositivi RFID. I dettagli e l'opinione di Corrado Patierno
Di recente è stato varato il decreto con il quale vengono completamente liberalizzate le radio frequenze per i dispositivi RFID. I dettagli e l'opinione di Corrado Patierno

Grazie alla collaborazione del Ministero della Difesa, che impegna la banda UHF per alcuni ponti radio ad uso militare, il Ministero delle Comunicazioni ha recentemente liberalizzato le frequenze UHF comprese fra 865 e 868 MHz per le applicazioni RFID (Radio Frequency Identification) ad uso civile.

Il nuovo decreto, firmato dal Ministro Paolo Gentiloni, permetterà l’installazione di apparati – sia indoor che outdoor – con una potenza di 2 watt, espandibile a 4 watt con particolari tipi di antenna. Si tratta di una mossa di portata ben più ampia rispetto a quella inizialmente prospettata: va ricordato come solo alcuni mesi addietro Franceso Troisi, direttore generale programmazione e gestione delle frequenze del Ministero delle Comunicazioni, disse che il Ministero della Difesa aveva intenzione di chiedere una moratoria per i sistemi outdoor, limitandoli a 500 mW.

“La banda di frequenze 865-868 MHz può essere impiegata, su base di non interferenza e senza diritto a protezione, ad uso collettivo da apparati a corto raggio per le apparecchiature di identificazione a radiofrequenza (RFID), aventi le caratteristiche tecniche di cui alla decisione 2006/804/CE. Tali applicazioni sono soggette al regime di libero uso ai sensi dell’art. 105, comma 1, lettera o) del Codice delle comunicazioni elettroniche, emanato con decreto legislativo 1° agosto 2003”, si legge nel testo del decreto ministeriale.

I maggiori produttori, operatori e professionisti italiani del settore RFID hanno applaudito il provvedimento , affermando che questo crea finalmente le condizioni necessarie al decollo del mercato RFID nel nostro paese e posiziona l’Italia allo stesso livello degli altri paesi europei.

“Per la nostra associazione INDICOD-ECR / GS1 Italia, che rappresenta EPCglobal in Italia, questa notizia è particolarmente importante anche a fronte dell’impatto che avrà sui nostri membri – circa 33mila aziende tra produzione e distribuzione – che saranno nei prossimi anni potenziali utilizzatori di questa tecnologia”, ha commentato Pierluigi Montanari, business development area manager di INDICOD-ECR .

Tra i professionisti del settore c’è anche però chi esprime alcune perplessità , specie in tema di privacy e salute, ed invita il Governo a regolamentare il settore con norme più severe. Punto Informatico ha raccolto a tal proposito il commento di Corrado Patierno, noto esperto di tecnologie RFID che in passato ha già più volte trattato questi temi su queste pagine.

L’opinione di Corrado Patierno
Attualmente il mercato italiano degli operatori è composto da pochissimi pionieri e “primi attori” e tante piccole e medie realtà che si avvicinano al mondo RFID con ottime campagne di marketing ma, spesso, con scarse conoscenze tecniche e normative in materia.

In questa situazione l’apertura così repentina del mercato outdoor rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio: molti operatori rischiano di commettere grossolani errori di progettazione per inesperienza, minando la credibilità della tecnologia RFID e bruciando somme di denaro non trascurabili. Va infatti ricordato che, nella sua fase pilota, un progetto RFID richieda generalmente investimenti nell’ordine de 20-30mila euro, e nella fase esecutiva le somme richieste possano superare i cinque zeri.

Le frequenze UHF a 2 watt, a differenza dei sistemi HF, non hanno un campo ben delimitato, in quanto utilizzano il campo elettrico (di tipo radiante) per la trasmissione della potenza e dei dati. Questa tecnologia, nello specifico, è fortemente soggetta a problemi di riflessione e rifrazione del segnale, che se non adeguatamente schermato può generare errori o disturbi anche ad una trentina di metri di distanza.

Ciò che rende questi sistemi così “delicati” non è tanto il processo di radiocomunicazione (tra l’altro viene sfruttato un sistema simile per l’autenticazione dei cellulari alle stazioni radio), quanto il protocollo utilizzato, che non adotta alcun meccanismo di autosincronizzazione: un sistema di questo tipo permette a due stazioni trasmittenti che incrociano il segnale di sincronizzarsi in modo da non disturbarsi ed impedire le letture.

Facciamo un esempio pratico: immaginiamo di avere un’industria manifatturiera che per l’ingresso merci utilizzi il sistema UHF per eliminare la spunta alla ribalta. In condizioni di normalità arriva il camion che scarica il materiale (immaginiamo lamierini in metallo) che, se adeguatamente etichettati con tag RFID, vengono letti ed identificati da un gate a 2 watt ed immagazzinati per la produzione. Fin qui tutto bene. Ad un certo punto il produttore dei lamierini, per esigenze di tracciabilità, decide di equipaggiare i camion per il trasporto di reader UHF, eventualmente con un’emissione anche minore di 2 watt. Quando il camion scaricherà il materiale i due reader, quello del camion e quello della spunta, andranno in conflitto impedendo le letture. Se i reader avessero avuto un protocollo tale da permettere l’autosincronizzazione tale problema non si presenterebbe.

Ovviamente questo è un caso limite, ma se i reader fossero nello stesso stabilimento? Magari uno per la spunta alla ribalta e l’altro per la logistica interna? Se il disturbo non avvenisse sempre ma in maniera sporadica (magari perché il segnale viene riflesso più volte sul prodotto in lettura e genera disturbi a decine di metri di distanza)? La difficoltà di implementazione di queste soluzioni è palese, almeno quanto lo era utilizzare i primi hub WiFi per creare reti wireless che coprissero adeguatamente aree molto vaste: oggi molti produttori di apparati WiFi hanno in catalogo prodotti enterprise che usano protocolli propietari autosincronizzanti più o meno efficaci.

Ci sono ancora altri due rischi da sottolineare. Il primo è legato alla privacy: adesso chiunque può mettere un apparato in radioemissione (magari nell’insegna del negozio) per catturare le informazioni contenute nei tag non disattivati. Il secondo è legato alla salute: una ricerca lo scorso anno aveva già messo in guardia sui potenziali rischi genotossici legati all’uso di radiofrequenze con pattern simili a quelli di RFID, anche se con frequenze e valori di potenza superiori.

C’è già chi si immagina un futuro in cui sarà necessario girare con un’analizzatore di spettro portatile per sapere se qualcuno ci sta spiando. Questo ci fa capire quanto sia importante un organo competente che, coadiuvato da norme specifiche, possa effettuare severi controlli sulle emissioni per tutelare la privacy e la salute delle persone.

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Pubblicato il
27 lug 2007
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