La piattaforma che ospiti contenuti prodotti dall’utente ha delle responsabilità ben delimitate da tempo dal quadro normativo nazionale ed europeo: un servizio come TripAdvisor, che dà spazio a pareri e recensioni dei cittadini della Rete che abbiano frequentato una struttura ricettiva, non deve rispondere degli illeciti commessi dai propri utenti, né è tenuto ad agire sui contenuti a cui dà visibilità su richiesta di chi si dichiara parte lesa. A stabilirlo è una importante sentenza emessa dal Tribunale di Grosseto, che ristabilisce gli equilibri nella responsabilità degli intermediari, equilibri che la giurisprudenza italiana ha in alcuni casi recenti fatto pesare sulle piattaforme della Rete.
Il caso, sollevato nel 2013 da una struttura alberghiera dell’Argentario, verte su una recensione affatto lusinghiera e spiccatamente volgare pubblicata da un utente su TripAdvisor. Il parere, ritenuto dall’albergatore falso e diffamatorio , è stato portato all’attenzione della giustizia, con una denuncia nei confronti della piattaforma: TripAdvisor sarebbe corresponsabile della diffamazione in quanto non avrebbe impedito la pubblicazione della recensione, non avrebbe agito con sufficiente tempestività a seguito della segnalazione e non avrebbe acconsentito a consegnare i dati del recensore. 5.400.000 euro la somma che l’albergo riteneva sufficiente a sanare il danno d’immagine subito: un euro a visitatore, stimato che dal 16 al 23 luglio la recensione fosse stata visualizzata da 5.400.000 persone.
Il tribunale di Grosseto, analizzate le istanze delle parti, ha respinto tutte le richieste dell’attrice, dichiarandole infondate: nella sentenza emessa nel mese di gennaio ma pubblicata di recente, che Punto Informatico ha potuto consultare, il tribunale seziona in maniera puntuale le attribuzioni di responsabilità che la struttura alberghiera avrebbe voluto far ricadere su TripAdvisor, osservando come la piattaforma abbia agito in maniera conforme a quanto prescrive la legge italiana.
In primo luogo si procede a delineare il ruolo di TripAdvisor : si tratta di un hosting provider , così come descritto dal noto Decreto Legislativo 70 del 2003, “posto che essa si limita ad offrire ospitalità sui propri server a informazioni fornite dal pubblico, con conseguente esonero di responsabilità, salvo il caso in cui, venuta a conoscenza della commissione di un fatto illecito su espressa comunicazione delle autorità competenti, non si attivi per rimuovere le informazioni illecite”.
Il tribunale di Grosseto si attiene a quanto prescritto dalla legge, senza inerpicarsi nelle distinzioni fra hosting provider attivo e passivo , artificiosamente sottoposte da certe parti in causa nella recente giurisprudenza italiana , e in alcuni frangenti, come per il caso RTI-Break Media, avallate dai tribunali. La piattaforma si qualifica come hosting provider, e dunque come semplice e neutrale intermediario fra i cittadini della Rete che pubblichino dei contenuti e i cittadini della Rete che consultino i contenuti pubblicati, così come descritto nelle condizioni d’uso , che attribuiscono la responsabilità dei contenuti all’utente che li condivida e impongono il rispetto di alcune regole generali, fra cui il divieto di “pubblicare, caricare, trasmettere, distribuire, archiviare, creare o rendere altrimenti pubblici” contenuti “falsi, illegali, fuorvianti, diffamatori, calunniosi, osceni, pornografici, indecenti, scurrili, allusivi, minacciosi o esortanti alla minaccia di altre persone, intimidatori, lesivi della privacy o di diritti pubblicitari, offensivi, provocatori, fraudolenti o altrimenti discutibili”. L’hosting provider, come ben spiegato all’ articolo 16 del Decreto legislativo n. 70 del 2003, non è responsabile dei contenuti caricati dai propri utenti, a meno che non sia al corrente della loro manifesta illiceità e che non provveda alla rimozione nonostante l’ordine dell’autorità giudiziaria. TripAdvisor, come stabilito all’ articolo 17 del decreto, non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti, ma è semplicemente tenuto a comunicare alle autorità competenti la presunta illiceità di contenuti in cui imbatta, e alla collaborazione su richiesta delle autorità.
Si qualifica come hosting provider nonostante abbia adottato dei filtri automatizzati per scongiurare la pubblicazione di recensioni esplicitamente inopportune o fraudolente, come previsto dalle proprie policy. Per quanto attiene i filtri, il tribunale si richiama anche alla giurisprudenza europea, e in particolare alla sentenza della Corte di Giustizia dei giudici di Lussemburgo sul caso SABAM-Scarlet, che stabilisce che l’obbligo all’implementazione di filtri lederebbe la libertà d’impresa della piattaforma e il fondamentale diritto alla libertà di espressione e di informazione a favorire della società civile. TripAdvisor dispone di sistemi di filtraggio adottati in maniera volontaria , soluzioni “atte a migliorare l’offerta del servizio di hosting” ma per loro natura imperfette , incapaci di “selezionare i contenuti da pubblicare nella piattaforma, anche sulla base di un controllo di veridicità e di continenza”: per questo motivo non comportano il decadimento della neutralità del ruolo di TripAdvisor, e delle relative esenzioni di responsabilità.
Nemmeno la possibilità di cancellare dei contenuti caricati da terzi determina la natura editoriale e “attiva” della piattaforma: il tribunale di Grosseto osserva che si tratta di una attività “di carattere demolitivo e non costruttivo”, che non interferisce con il contenuto delle recensioni . Anche in questo caso si tratta di una attività che l’intermediario opera in maniera volontaria , come avvenuto a seguito della segnalazione dell’albergatore toscano: la piattaforma, dopo due giorni lavorativi dalla segnalazione, aveva provveduto a rimuovere la recensione da cui è scaturito il caso. Il tribunale di Grosseto ricorda che TripAdvisor “non aveva alcun obbligo di rimozione del contenuto asseritamente illecito, in assenza di una decisione dell’autorità giudiziaria (unica competente a farlo) accertante la natura diffamatoria dello stesso”. Ha agito in maniera volontaria, sulla base delle proprie condizioni d’uso , che l’utente ha accettato di sottoscrivere: “ove si ipotizzasse un obbligo di rimozione per ogni richiesta ricevuta dal titolare della struttura recensita – sottolinea il tribunale – si sconfesserebbe il senso del servizio in oggetto, che è quello di dare una panoramica di tutte le opinioni, a 360 gradi (e non solo di quelle positive)”. La piattaforma ha dunque accettato di assumersi la responsabilità della rimozione, come spesso gli intermediari scelgono di fare sulla base delle proprie policy e per venire incontro ai soggetti che si dichiarano lesi, senza appesantire il sistema giudiziario e attenderne i tempi.
Ma se bilanciare i diritti del recensore e quelli del recensito , nel caso di un commento non in linea con le condizioni d’uso come quello in oggetto, è una responsabilità di cui la piattaforma può agevolmente farsi carico, la comunicazione a terzi dei dati personali degli utenti è una operazione ben più onerosa, in termini di responsabilità, e per questo confinata all’esame dell’autorità giudiziaria nel caso di contenziosi di natura penale.
Il tribunale, respingendo così tutte le rivendicazioni dell’albergatore toscano, compresa la sostanziosa richiesta di risarcimento, ha riaffermato la natura di neutro intermediario di TripAdvisor: la natura attiva delle proprie iniziative di rimozione e di filtraggio non determina affatto un ruolo editoriale né delinea una nuova figura di hosting provider ibrido con nuove responsabilità, ma costituisce un semplice slancio a favore della prestazione di un servizio migliore.
Gaia Bottà