Un recente report Eurostat ha fotografato lo stato di anzianità della popolazione europea, dividendo l’analisi per ogni singola nazione facente parte dell’UE. Inevitabile il fatto che l’Italia figuri tra le popolazioni più anziane dell’intero continente, con alcuni accenti particolarmente rilevanti nella fascia sopra gli 80 anni. Spesso e volentieri questo dato viene utilizzato come un bastone sulle speranze e le attitudini degli italiani, fotografati (soprattutto come autoflagellazione tutta nostrana) come una popolazione indolente e con poche speranze. Una analisi più approfondita dei dati, però, sembra raccontare una storia leggermente differente, con sfumature che è importante saper osservare.
Sul nostro Paese pesa una anzianità crescente, che ha però origini precise e meritorie. Al tempo stesso grava sulla nazione una scarsa crescita culturale ed una crescente distanza dalle opportunità dell’innovazione, cosa che pesa su tutti ben più della sola anzianità come dato statistico a sé stante.
Vecchia Italia
Si, l’Italia deve fare i conti con una popolazione molto anziana. Siamo ben al di sopra della media europea e (assieme a tutta l’area mediterranea) abbiamo visto salire repentinamente la percentuale di anziani rispetto all’intera popolazione: è questo il risultato di una natività sempre più scarsa e di una speranza media di vita in estensione. Il dato, tuttavia, non è dissimile anche da quello tedesco, benché sia la proiezione a variare: nel 2050 il nostro sarà in assoluto il Paese più vecchio, arrivando fino ad oltre il 45% di popolazione oltre i 55 anni. La recente pandemia ha molto da dire in proposito, soprattutto in tema di costi sul servizio sanitario e socio-assistenziale.
Questi dati non sono però certo una colpa, anzi: le statistiche Eurostat dicono chiaramente che, oltre a tutti i vantaggi che il clima e la natura ci regalano, siamo la popolazione che ha la miglior alimentazione, soprattutto in termini di consumo quotidiano di vegetali (siamo in vetta a livello europeo) e di alcool (siamo appena al di sotto della media europea). L’alta età media è dunque anche un traguardo, oltre che un peso che la politica dovrà imparare a gestire e controllare.
La terza età non va online
I problemi emergono però quando si giunge alle capacità con gli strumenti digitali, poiché su questo fronte si erge un vero e proprio muro: il 40% degli ultra-55enni non ha mai usato un computer, percentuale che cresce di 20 punti percentuali se si analizza la fascia 65-74 anni. In entrambi i casi il dato è migliorato del 10% in 10 anni circa, ma è chiaro come sulla base di questi dati è chiaro come sia molto complesso poter fornire soluzioni “smart” ad una fascia molto ampia di popolazione.
Sebbene per i più giovani appaia quasi paradossale, è questo il motivo che spinge spesso i palazzi della politica a soluzioni di compromesso che non affidano ogni compito al cashless, allo SPID, alle app o ai servizi online: per troppe persone è questo uno scoglio insormontabile poiché il problema non è né economico, né strumentale, ma culturale. Vaste fasce di popolazione si informa dunque in tv, fa la coda alla Posta, legge solo approssimativamente i giornali e non si nutre della ricchezza che il Web è in grado di offrire su ognuno di questi fronti (o lo fa con approssimazione e con la poca consapevolezza di chi è ai primi passi con uno smartphone). In Italia è inoltre particolarmente accentuata la differenza tra uomini e donne, con gli uomini ancor meno attivi su questo fronte.
In termini di “digital skill” sull’intera popolazione nazionale, a far peggio dell’Italia ci sono soltanto Polonia, Bulgaria e Romania; a pesare è soprattutto la fascia 55-64, che pesa proporzionalmente molto sull’indolenza del nostro Paese nei confronti dell’approccio al digitale. Se si pensa che spesso e volentieri è proprio su questa fascia d’età che si concentra la ricchezza (non solo immobiliare) della nostra nazione, questo la dice lunga su ataviche resistenze che si pongono al cospetto di tutto quel che è innovazione.
Nonostante le apparenze, l’Italia è in coda anche nell’uso dei social network, nonché nell’adozione dello strumento e-mail, mentre si difende in termini di utilizzo della telefonia mobile (aspetto sul quale abbiamo anche goduto di una certa avanguardia a cavallo con il nuovo millennio). In termini di acquisti online, la fascia 65-74 è sottorappresentata, gravitando estremamente sotto la media europea: il gap culturale creatosi non può che determinare questa situazione, creando così ostacoli anche nell’espansione degli strumenti di pagamento digitali, che ora andranno pertanto stimolati con un piano di cashback partito in queste settimane e destinato a durare fino a metà 2022.
Un triste primato che ci compete è relativo alla solitudine. Sebbene gran parte degli anziani goda di una frequentazione quotidiana con persone vicine, sussiste invece un’alta percentuale di anziani soli. Il dato è relativo con ogni probabilità al forte gap generazionale esistente in un paese con pochi giovani e molti anziani, ove dunque aumenta la percentuale di persone destinate alla solitudine in tarda età.
Non appare complesso, quindi, ricollegare questi dati anche alla recente pandemia, ove ognuna di queste statistiche sembra corroborare il quadro di un Paese particolarmente esposto ai danni di un problema che ha messo sotto pressione alcune zone d’Italia, le RSA, le terapie intensive e gli incontri familiari. Tutte questioni che solo il ricambio generazionale potrà migliorare, portando i giovani di oggi a presentarsi con maggiori skill alla terza età e sfruttando le leve del digitale per migliorare le condizioni di vita di quell’ampia fascia di popolazione – oggi produttiva – che peserà sulle spalle dei – pochi – giovanissimi di oggi.