Il Quarantasettesimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale italiana fotografa un paese che per uscire dalla crisi sembra volersi aggrappare alla speranza e alla connettività.
Indipendentemente dalle istituzioni, che si rivelano nude dietro a manovre che sembrano essere anti-crisi solo nel nome, e da una società di “malcontenti, quasi infelici” perché sempre più si vive “un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali”, insomma, il Censis vede l’economia digitale come uno dei possibili salvagenti.
Secondo i dati raccolti, la grande vittima della congiunzione economica altamente negativa degli ultimi anni è sempre più il ceto medio: il che significa da un lato un’estremizzazione della società che crea rancore e senso di ingiustizia, dall’altro nuove forme di imprenditorialità tra cui quella delle donne, degli stranieri e quella legata alla dinamicità delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all’estero e degli operatori dell’economia digitale .
D’altra parte, pur essendo connesso solo il 21 per cento degli anziani con la televisione che si conferma regina dei media, gli utenti Internet sono il 63,5 per cento degli italiani: un buon numero anche se significa una crescita pari solo all’ 1,4 per cento rispetto al 2012 .
Nel dettaglio il 90 per cento degli under 30 italiani è in Rete, il 75 per cento è iscritto a Facebook, il 66 per cento usa lo smartphone (contro il 39,9 per cento dell’intera popolazione), quasi la metà guarda Web tv e il 5,2 per cento legge ebook (dato in crescita del 2,5 per cento rispetto all’anno precedente). Per quanto riguarda il lavoro, il 15,3 per cento lo cerca online (un aumento del 5,3 per cento nell’ultimo anno) e tra i disoccupati la percentuale arriva al 46,5 per cento.
Inoltre la digitalizzazione dei servizi e la diffusione delle tecnologie apportano semplificazioni nella vita di tutti i giorni: arriva al 68 per cento la popolazione che cerca online aziende, prodotti e servizi e al 54 per cento chi paga utenze online (numero a cui bisogna aggiungere un nove per cento che va in tabaccheria).
L’economia digitale, pur rappresentando ancora solo il 3 per cento del PIL , è dunque un settore dinamico che dà respiro alla ripresa ed influenza la società: questo grazie alle reti infrastrutturali di nuova generazione (NGN, 4G, Fttx, con l’ADSL come tipo di connessione più diffusa, che raggiunge il 62,9 per cento dei netizen), alle possibilità offerte dall’ecommerce, all’elaborazione di grandi masse di dati, agli applicativi basati sulla localizzazione geografica e alla crescita di quello che viene definito artigianato digitale .
Con queste trasformazioni si rimodella anche la società che sembra stia superando “progressivamente l’individualismo e l’egoismo particolaristico” per diventare sempre più connessa.
Il tutto nonostante il (mancato) ruolo delle istituzioni, che non riescono “a fare connettività, perché sono autoreferenziali, avvitate su se stesse, condizionate dagli interessi delle categorie, avulse dalle dinamiche che dovrebbero regolare”, e della politica, “scivolata verso l’antagonismo, la personalizzazione del potere, la vocazione maggioritaria, la strumentalizzazione delle istituzioni e la prigionia decisionale in logiche semplificate e rigide (dalla selva dei decreti legge all’uso continuato dei voti di fiducia)”. È questo circolo vizioso e questo scollamento dalla realtà che impedisce a chi governa di analizzare la situazione ed aiutare il settore digitale come meriterebbe , come potrebbe, per esempio, fare, con politiche fiscali ad hoc oppure semplificazioni normative per l’ecommerce.
Claudio Tamburrino