L’ International Trade Commission ha imposto il blocco delle importazioni all’interno dei confini degli Stati Uniti di alcuni modelli digitali ad uso dentistico sviluppati in Pakistan e da lì inviati negli Stati Uniti per essere stampati in 3D.
Il caso che ha portato a questa decisione vede al centro alcuni brevetti detenuti da InviSalign e violati da ClearCorrect, descritta pochi anni fa come una delle aziende statunitensi con il più alto tasso di crescita nel settore sanitario, grazie all’opera di modellazione digitale portata avanti in Pakistan. L’infrazione brevettuale, dunque, avviene fuori dagli Stati Uniti e comporta solo successivamente, e per via telematica, l’ingresso nel paese di prodotti creati attraverso tale processo illecito : in questo modo negli Stati Uniti si stampa un prodotto non in violazione della proprietà intellettuale di InvisAlign .
L’ITC, tuttavia, ha deciso di considerare il caso come un episodio di aggiramento delle leggi che regolano la proprietà intellettuale ed di intervenire come se si trattasse di prodotti fisici : come più volte accaduto nel caso di smartphone che incorporassero software o componenti ritenuti in violazione brevettuale, l’autorità ha deciso di ordinare l’interruzione delle importazioni all’interno dei confini statunitensi dei modelli digitali (attraverso una cease and desist letter ) che inoculano nel paese il frutto avvelenato della violazione brevettuale.
Così, pur non potendo ordinare un blocco dei prodotti incriminati presso le dogane digitali (il suo potere, d’altra parte, sarebbe limitato al controllo delle “importazione di articoli”), ha deciso di considerare “spediti” negli Stati Uniti tali file, facendoli rientrare nella definizione di merce importata.
In realtà, tutta la questione dei diritti di proprietà intellettuale, che sono per definizione territoriali, si gioca su questa analogia, soprattutto nei casi in cui vi è solo un esaurimento territoriale del diritto stesso: un concetto del diritto internazionale che lega un determinato bene ad un determinato territorio, che in fquesto caso è stato sfruttato sia da ClearCorrect per approfittare dei brevetti di InvisAlign, sia nel tentativo di ITC di far valere i suoi poteri.
Proprio per questo, tuttavia, la decisione presa dall’ITC apre il campo a diverse questioni anche perché l’agenzia federale non sembra semplicemente aver stabilito l’esistenza di un confine digitale che opera nella stessa maniera di quello fisico, quando piuttosto aver esteso i propri poteri fino a poter prendere in considerazione tutta una serie di casi che finora sembrano fuori dalla sua portata . In particolare, la Commissione federale sembra voler cercare un metodo per far valere la sua autorità sulle possibili evoluzioni del mercato sollecitate in particolare dalla stampa 3D e dalle tecnologie simili: sembra voler estendere la sua giurisdizione alle nuove forme di importazione, in modo tale da prevenire l’erosione della protezione della proprietà intellettuale garantita dalla Section 337 della normativa statunitense che governa le importazioni illecite e la concorrenza sleale da esse mediata.
Anche per questo motivo stanno cercando di non farsi sfuggire una succosa opportunità i rappresentanti dei detentori di diritto d’autore come
Motion Picture Association of America e Association of American Publishers , che sono intervenuti a supporto della tesi dell’accusa nella speranza che un’interpretazione del genere possa permettere in futuro alla ITC di intervenire anche in difesa dei contenuti pirata come film, libri, musica ecc..
Contro la decisione ed a supporto della tesi difensiva di ClearCorrect, invece, sono intervenute Google e le aziende ICT, spaventate dalla possibilità che l’estensione dei poteri dell’ITC ne possa compromettere il funzionamento e generare derive difficilmente prevedibili : l’agenzia federale dovrebbe concentrarsi solo sui bandi alle importazione che può impedire attraverso gli interventi alle dogane.
Nel dettaglio, l’ Internet Association , che vede, oltre a Mountain View, la partecipazione di Airbnb, Amazon, AOL, eBay, Expedia, Facebook, Google, Groupon, LinkedIn, Netflix, Rackspace, Salesforce.com, TripAdvisor, Twitter, Uber, Yelp e Yahoo, ha così depositato un documento presso la Corte d’Appello degli Stati chiedendo il ribaltamento della decisione di ITC.
Allo stesso modo sono intervenute Public Knowledge ed Electronic Frontier Foundation , secondo cui l’intervento dell’agenzia federale finirebbe per estendere di fatto le proprie competenze, sovrapponendosi – per esempio – con gli organi che hanno potere in materia di telecomunicazioni.
Per il momento, l’ITC ha sospeso l’applicazione della decisione, anche se ha chiarito di non avere dubbi circa la sua correttezza.
Ad ogni modo, al di là del caso in sé, un’interpretazione di questo tipo rischia di aprire la strada ad un impiego massivo delle misure quasi-giudiziarie dell’ITC per quanto riguarda questioni non direttamente legate alle dogane (come potrebbe essere appunto l’applicazione del diritto d’autore online) offrendo potenzialmente anche una nuova arma ai cosiddetti Internet Troll che, armati di enormi portafogli di brevetti software, potrebbero intasare le file della Commissione federale del Commercio.
Claudio Tamburrino