A canzoni storiche come quelle dei Rolling Stones era stato applicato un nuovo cartellino da negozio musicale online. Su iTunes, erano molti di più i brani venduti a 1,29 euro che quelli al prezzo ribassato di 69 centesimi. Le insistenti pressioni delle etichette discografiche avevano raggiunto il proprio scopo: che Apple abbracciasse uno schema di prezzi variabili per la musica digitale.
Era significato un aumento consistente del 30 per cento: brani passati a 1,29 euro dai classici (e fissi) 99 centesimi. Ma c’era da vedere come sarebbe andata a finire, quale sarebbe stato l’esito ineluttabile del mercato . E pare che, all’alba di questo 2010, le grandi sorelle del disco abbiano chinato il capo sconsolate. A partire da Warner Music Group .
In poche e semplici parole, le vendite di musica su piattaforme come iTunes stanno calando abbastanza vistosamente. E, sì, è colpa dei prezzi più alti. Ad illustrare questa decrescita, lo stesso CEO di Warner, Edgar Bronfman Jr.: durante la presentazione degli ultimi risultati fiscali dell’etichetta, Bronfman ha snocciolato dati poco incoraggianti per il futuro.
Innanzitutto, le vendite complessive su iTunes sono lievitate solo del 5 per cento alla fine dello scorso dicembre. Esattamente la metà del precedente 10 per cento registrato pochi mesi prima, a sua volta leggermente meno dell’11 per cento rilevato a giugno. I ricavi totali di Warner sono aumentati solo dell’8 per cento nel 2009, poca cosa rispetto al 20 per cento in più dell’anno precedente.
Cosa è successo? Edgar Bronfman ha provato a spiegarselo, insistendo sul fatto che lo schema variabile dei prezzi voluto da Warner e sorelle abbia portato buoni risultati nel complesso. C’è un però : lo stesso CEO di Warner ha ammesso che probabilmente l’aumento del 30 per cento sui brani – in particolare durante un periodo di crisi come quello attuale – non sia stata proprio una brillante idea .
Probabilmente perché più alto è il prezzo di un bene come una canzone digitale, meno unità vengono vendute, tenendo presente il difficoltoso periodo economico. Una lezione che – secondo alcuni – dovrebbe essere imparata a memoria dai grandi dell’editoria, che stanno attualmente contestando i prezzi degli ebook fissati da retailer online come Amazon.
L’industria vorrebbe cioè avere più libertà di manovra nel definire i prezzi dei vari libri in formato elettronico. Qui, sempre secondo Bronfman, gli editori potrebbero beneficiare dei prezzi variabili (e più alti) su dispositivi come iPad. Evidentemente alle sorelle del disco piace perseguire, insistere anche con la testa mezza fasciata.
Mauro Vecchio