Il cambiamento era stato anticipato tre mesi or sono, e tutto si è svolto come da copione: ciò nonostante, il nuovo regime di prezzo della musica in vendita su iTunes Store sta facendo discutere. Un po’ perché, contraddicendo quello che Phil Schiller aveva spiegato sul palco del Moscone Center durante il Macworld di gennaio, i prezzi sono generalmente aumentati. Un po’ perché sembra che la mossa di Apple abbia dato inizio ad una reazione a catena che sta causando un vero e proprio sconquasso nei listini di tutta la concorrenza: nel bene e nel male.
Dando un’occhiata al marketplace musicale compreso nel software di Cupertino, è difficile cogliere quale sia la logica che ha portato alla modifica dei prezzi: canzoni storiche come You Can’t Always Get What You Want dei Rolling Stones ( pubblicata nel 1969 nell’album Let it Bleed ) passa da 0,99 a 1,29 euro, vale a dire che il prezzo aumenta del 30 per cento. Altre canzoni, vecchie e nuove, di cantautori e artisti italiani e stranieri restano perlopiù ancorate al vecchio listino, mentre scovare qualche brano che sia stato inserito nella nuova fascia economica da 0,69 euro è un’impresa davvero complicata.
Mentre sullo store USA ci sono almeno un paio di raccolte di brani R&B e rock che offrono le singole canzoni a 69 centesimi di dollaro, in Italia non ci sono playlist e occorre cercarsi il risparmio a mano: scorrendo la lista dei “top singoli” se ne trova soltanto uno, ed è il relativamente recente e relativamente noto brano Shake it del gruppo Metro Station, che gode di una certa popolarità tra gli ascoltatori più giovani. Pure tentando di andare a ripescare brani di catalogo è raro trovare canzoni scese di prezzo, e anzi spesso i brani più noti sono finiti nella nuova fascia più costosa : dando un’occhiata, tanto per fare un esempio, alla produzione Motown si scopre che la maggior parte delle canzoni resta al suo prezzo originario, e che sono più i brani saliti a 1,29 di quelli scesi a 0,69 euro.
“Basandoci su come (le etichette, ndr) decideranno di offrire la loro musica, venderemo le canzoni di conseguenza” aveva spiegato Phil Schiller a gennaio, aggiungendo e precisando che “Sappiamo già che molte più canzoni saranno vendute a 69 centesimi invece che a 1,29 dollari (o euro nel caso italiano, ndr), e questo sarà un beneficio per molti acquirenti”. A giudicare dal risultato, il timore che in molti covavano si è materializzato: mediamente la spesa su iTunes Store sembrerebbe essere aumentata a parità di carrello acquisti , a tutto vantaggio ovviamente di chi vende e non di chi compra.
Per consolarsi, gli utenti di iTunes possono sempre godersi l’estensione a tutto il catalogo dell’opzione Plus: ora tutte le canzoni sono prive di protezione DRM (ma conservano nelle informazioni il nome e l’account dell’acquirente, una sorta di watermark) e sono vendute al doppio del bitrate precedente per garantire maggiore qualità. Il risultato, come in passato, è che la musica “si sente meglio” e si avvicina all’alta fedeltà così com’è intesa dagli audiofili: inoltre, ora le canzoni disponibili su iTunes si allineano alle caratteristiche di quelle offerte su altre piattaforme concorrenti.
Seguendo Apple, che in ogni caso resta il primo negozio digitale di musica, anche tutti gli altri grossi nomi hanno uniformato i prezzi al nuovo trend: Amazon e Wal-Mart, altri due e-retailer a stelle e strisce, senza fare troppo rumore hanno aumentato i prezzi rispettivamente a 1,29 e 1,24 dollari su grossomodo le stesse canzoni salite anche su iTunes. Amazon, però, da parte sua ha fatto sapere di aver avviato una campagna promozionale per mettere in vendita a 29 centesimi più di 100 brani del suo catalogo: dentro c’è parecchio di nuovo e di vecchio, dall’ ultimo dei Pet Shop Boys a Smells Like Teen Spirit dei Nirvana, passando per Beyonce e Rihanna .
L’obiettivo è, naturalmente , catturare nuovi clienti , preferibilmente sottraendoli alla concorrenza: visto che il mercato non attraversa esattamente uno dei periodi più floridi della sua storia, la cosa potrebbe anche avere qualche effetto. Resta da valutare, tuttavia, se l’aumento di altra parte del catalogo senza alcun vantaggio pratico per gli utenti avrà delle conseguenze sugli acquisti e sulla fedeltà dei consumatori ai modelli di download legale.
Luca Annunziata