È giallo sul futuro di iTunes: la gola profonda è Digital Music News , secondo cui Apple avrebbe intenzione di sospendere l’attività di vendita di musica presso la sua piattaforma nei prossimi prossimi 3 o al massimo 4 anni . Il motivo? L’ imperversare di servizi di streaming gratuiti e in abbonamento, che stanno radicalmente cambiando il modo di fruire i contenuti digitali presenti in Rete.
D’altronde, i dati diffusi da RIAA confermano questa nuova tendenza . Negli ultimi 2 anni, infatti, dal 2013 al 2015, i proventi derivanti dallo streaming musicale hanno superato quelli che originano dal download.
Ma rispetto alle indiscrezioni di Digital Music News dal quartier generale di Cupertino arriva una netta smentita per bocca di Tom Neumayr , responsabile del dipartimento Global Public Relations and Strategic Communications . “Non è vero”, si è limitato a dichiarare il portavoce dell’azienda americana durante un’intervista rilasciata a Recode .
Forse nei piani strategici della Mela c’è il potenziamento di Apple Music , il servizio di riproduzione musicale on-demand lanciato la scorsa estate. Può darsi. Al momento, tuttavia, la giovane piattaforma di streaming firmata non permette la fruizione gratuita in cambio di pubblicità, come già fanno alcuni suoi competitor tra cui Spotify , ma presto le cose potrebbero cambiare. Era nota la riluttanza del compianto Steve Jobs nei confronti dello streaming, ma il suo successore, Tim Cook, non sembra pensarla allo stesso modo. Quindi è presumibile ipotizzare, considerato anche l’andamento del mercato, un cambio di rotta significativo verso il modello della fruizione in abbonamento dei contenuti a scapito di quello più tradizionale della vendita.
Secondo molti, tuttavia, questo sistema è foriero di criticità. Al di là delle problematiche che possono pesare sull’utente finale, come quelle relative a DRM all’improvviso non più attivi e validati , per brani per i quali è stato corrisposto un pagamento e che diventano inutilizzabili, e a quelle a danno di autori e creativi, che nel quadro degli accordi per lo streaming spesso lamentano iniquità in materia di compensazioni, permane il problema della proprietà, o sarebbe meglio dire del possesso dei contenuti.
Comprare un brano è diverso che noleggiarlo corrispondendo denaro per un abbonamento. Questo è chiaro, è facilmente intuibile ed è bene tenerlo a mente. L’acquisto in senso stretto, infatti, non solo ammette la legittimità della copia di sicurezza, consentita in molti paesi del mondo con modalità autorizzate, ma permette la fruizione “permanente” di quanto comprato. Il modello on-demand, a fronte del pagamento di un abbonamento, invece, potrebbe, in alcune circostanze, rivelarsi più insidioso. Una volta fidelizzato l’utente, infatti, le condizioni di erogazione potrebbero cambiare improvvisamente, diventare più dispendiose, ad esempio, e in caso di mancato rinnovo del servizio ci si troverebbe nell’impossibilità di accedere ai propri contenuti preferiti.
Quindi: il tradizionale modello “vendita” è ritenuto sempre più obsoleto ma quello del noleggio, sebbene più consono alle tendenze attuali, rischia di produrre contraccolpi pregiudizievoli per l’utenza finale, o almeno per una parte di essa. La soluzione, dunque? Probabilmente un sistema ibrido , che tuttavia va ancora studiato, messo a punto e ovviamente testato sul campo. Una cosa è certa: il settore offre ampi margini di innovazione e stiamo già assistendo a un cambio radicale delle nostre abitudini, nel fruire non solo di musica, ma anche di video, libri, riviste e quant’altro la Rete sia in grado di offrire.
Luca Barbieri