Il mondo della distribuzione musicale in rete non è un’esclusiva di Apple e del suo iTunes e nemmeno delle molte altre società che tentano di rosicchiare fette di mercato (da Microsoft a Napster, da eMusic a RealNetworks). C’è tutta un’altra dimensione della musica scaricata legalmente che è quella della musica rilasciata sotto licenza Creative Commons , una tendenza che fu inaugurata ufficialmente qualche anno fa da Wired quando fece un party per pubblicizzare l’iniziativa di un CD di musica in CC (con pezzi di artisti del calibro di David Byrne e Gilberto Gil) dato in regalo con la rivista.
Si tratta di un sottobosco sempre più ricco, fondato sulla libertà di riutilizzo e su “some rights reserved”, per costruire un business diverso, più libero, equo e in linea con le tecnologie (il digitale e la rete) cui si appoggia. Musica distribuita senza DRM e senza vincoli tecnici di alcun tipo, venduta a prezzi variabili e liberamente scambiabile, in virtù di un modello di business che si fonda sullo svincolo da ogni tipo di intermediazione tra chi distribuisce e l’artista. Le due entità (a seconda dei contratti e dei siti in questione) dividono le entrate provenienti da passaggi in radio o acquisti in rete e l’utente ci guadagna in musica totalmente libera.
Sui limiti e i pregi di un tale approccio abbiamo sentito Juan Carlos De Martin , professore associato presso la Facoltà di Ingegneria dell’Informazione del Politecnico di Torino e responsabile italiano del progetto Creative Commons.
Punto Informatico: Il modello di distribuzione musicale in CC è un business appetibile? Intendo anche per le grandi etichette
Juan Carlos De Martin: Le possibilità sono due: mettere la musica online, cosa che favorisce la vendita di CD (come mettere un libro online può favorire la vendita del libro cartaceo) oppure (come diceva David Byrne un paio di mesi fa) capire che la musica è di per sé gratuita e dovrebbe servire a reggere tutta una serie di business collaterali da cui viene il guadagno per gli artisti.
PI: Cioè il disco come veicolo promozionale?
JCDM: Sì. Il disco deve essere propedeutico all’acquisto del biglietto del concerto o del merchandising, del contatto con l’artista tramite fan club a pagamento e cose del genere. Modelli che qualcuno sta cominciando a provare ma che chiaramente ci vorrà del tempo prima che si stabilizzino. Bisognerebbe rigettare la vecchia idea per la quale è necessario spingere le vendite di CD per abbracciarne una dove la musica è solo un modo per stimolare gli appassionati a spendere i loro soldi in attività collaterali.
PI: Ma un simile modello non dovrebbe essere la soluzione più conveniente per musicisti che fanno generi di nicchia e già guadagnano principalmente dai concerti?
JCDM: Sì, è quello che pensano molti. È la stessa cosa per i libri, un libro accademico che diciamo vende 200 copie in tutto il mondo che senso ha che sia a pagamento? Ci guadagna solo l’editore. Perché invece non metterlo a disposizione di tutti in Creative Commons in modo che la diffusione sia massima? Questo si può declinare in tutte le dimensioni dell’industria culturale e quindi anche alla musica popolare, perché un compositore di classica non può certo vivere facendo concerti…
PI: In Italia ci sono esempi validi?
JCDM: Beh, music store internazionali come Jamendo hanno anche una sezione in Italia, ma di altre attività di ordine commerciale non ho notizia. Ci sono però molte etichette indipendenti e quindi molti artisti che hanno rilasciato la loro musica in Creative Commons.
PI: Eppure ancora non si sente di nessun musicista noto (anche di un ambito di nicchia) che abbia intrapreso questa strada….
JCDM: I grandi nomi ci stanno ancora pensando ma per il momento non si sono ancora mossi. Del resto sono anche passati solo quattro anni dalla creazione dei Creative Commons, siamo all’inizio. A tutt’ora esistono degli ambiti in cui tutti sanno di che si tratta e come funzionano e ambiti in cui nessuno ne ha sentito parlare. Passare da un modello all’altro è una cosa che richiede solitamente almeno una generazione. Jamendo e Magnatune sono due dei più grossi music store mondiali dove acquistare e distribuire musica con licenza Creative Commons, vendono musica senza DRM scaricabile liberamente e retribuiscono gli artisti senza l’intermediazione di etichette o distributori.
Hanno un rapporto diretto sia con i clienti che con i musicisti e danno vita (per chi vuole aderire a questo tipo di distribuzione) ad un commercio il cui primo obiettivo è far girare e ascoltare la musica mantenendo alcuni diritti fondamentali: attribuzione (l’utente deve sempre nominare l’autore originale), non commerciabilità (l’utente non è autorizzato ad usare il lavoro dell’artista a scopi commerciali, senza prima chiedere il permesso), nessun lavoro derivato (l’utente non può alterare, trasformare o prendere il lavoro dell’artista come spunto per il proprio, senza prima chiedere il permesso), condivisione allo stesso modo (se un utente altera, trasforma o prende il lavoro dell’artista come spunto per il proprio, deve distribuire quest’ultimo sotto la stessa licenza).
Jamendo ha diverse sezioni sparse in vari paesi (Italia compresa) e da quando è in piedi (2005) ha distribuito legalmente almeno un milione di album attraverso la tecnologia di BitTorrent e quella di eDonkey (anche se per quest’ultima è più difficile il tracciamento e quindi non è chiaro quanto materiale sia stato scaricato). L’ascolto e il download degli oltre 2.800 album in archivio è gratuito ed è possibile fare una donazione agli artisti a discrezione dell’utente.
Magnatune invece nasce nel 2003 e propone l’acquisto a prezzi che variano a discrezione del compratore dai 5 ai 18 dollari per album. Applica un modello di business per il quale ognuno dei 175 artisti che hanno scelto di appoggiarsi al servizio ha diritto al 50% di tutti i proventi che vengono dalla loro musica, sia che si tratti di acquisto, sia che si tratti di darla in licenza per scopi commerciali ad altre realtà.
Abbiamo sentito Laurent Katz , CEO di Jamendo e John Buckman , CEO di Magnatune, sui medesimi argomenti per capire dove stia andando il mercato della musica in CC.
PI: È possibile immaginare un business musicale che preveda la distribuzione in CC come standard?
John Buckman: È sbagliato pensare ad un solo scenario possibile per il business musicale. Per il futuro vedo molti differenti tipi di modelli, dai più antiquati come iTunes (dove compri un album dalle etichette musicali) fino alla musica comprata direttamente dai musicisti e ai servizi che ti offrono musica gratis. All’interno di questa moltitudine di alternative la musica in CC troverà sicuramente il suo modo di vivere.
Laurent Katz: La musica gratuita è già uno standard per la generazione tra i 15 e i 25 anni, ma raggiungerà quote sostanziali di mercato nei prossimi anni, come ha fatto il free software nel suo settore negli ultimi 20 anni (ma speriamo che la musica ci metta meno). Questo poi non vuol dire che un artista non trovi altre fonti di guadagno oltre alla musica in sé.
PI: Cosa offrono di vantaggioso ad un musicista i Creative Commons? Intendo ai grossi artisti
JB: Artisti come Madonna vendono la loro musica in molti modi di cui il CD è solo un esempio. Condividere la tua musica amplia la platea di ascoltatori, cosa che ti dà la possibilità di fare più soldi.
LK: Musicisti come Gilberto Gil, Pearl Jam, Beasty Boys già usano i Creative Commons per una certa parte del loro catalogo perché gli conviene.
PI: Come vanno gli affari? Ci sono musicisti da voi distribuiti che guadagnano abbastanza da viverci?
JB: Magnatune è solo una parte della carriera di un artista, noi contribuiamo alla loro sopravvivenza ma non li manteniamo in vita.
LK: No. Ricevono soldi ma non intendono vivere con questi introiti.
PI: Ci sono grossi player del mercato che si sono interessati a quello che state facendo?
JB: Ricevo con cadenza regolare chiamate dalle principali etichette e dai loro musicisti più importanti che sempre di più vedono calare le loro vendite e sono stufi di venire pagati poco per quanto vendono. Nel mondo delle grosse etichette sanno bene che il loro business sta morendo e stanno cercando delle alternative.
LK: Sì. anche se non posso rivelare altro.
a cura di Gabriele Niola