Che Cupertino avesse rimunciato a far valere la distintività del prefisso i- per Apple Watch era noto fin dal momento del lancio del proprio dispositivo indossabile, avvenuto nel 2015. Ma è solo ora che giunge a conclusione una vicenda legale sollevata da Swatch, che in anticipo sul mercato si era opposta alla richiesta di registrazione formulata da Apple per iWatch .
Il marchio svizzero, agendo probabilmente sulla base della popolarità del prefisso sfruttato dalla Mela a partire dal 1998 con iMac, fin dal 2008 aveva richiesto la registrazione del marchio iSwatch , ottenuto nel 2009 presso l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale. Per questo motivo, a parere di Swatch, le richieste di registrazione che Apple aveva avviato nel 2013 non avrebbero dovuto essere accordate: la coesistenza di iWatch e iSwatch avrebbe potuto ingenerare confusione nei consumatori, e la stessa somiglianza fra iWatch e lo storico marchio Swatch avrebbe potuto influenzare la percezione del mercato.
A risolvere il contenzioso nel contesto del Regno Unito è stato l’Ufficio Brevetti britannico: nella propria decisione , soppesata la somiglianza e la distintività dei marchi in gioco, riconosciuto che il prefisso i- sia peculiare di Apple quanto Swatch sia identificativo del produttore svizzero, ha decretato che non sia possibile concedere a Cupertino la registrazione del marchio sulla base dell’analisi dei mercati di riferimento.
Apple aveva richiesto la registrazione per la classe di beni che comprende il software per computer, i dispositivi di sicurezza, i computer e relativi hardware e periferiche, i dispositivi audio, video e di comunicazione wireless, le fotocamere, i dispositivi di monitoraggio, i dispositivi radio, i dispositivi GPS, gli accessori, i componenti e le confezioni per tutti questi beni. Swatch, dal canto suo, deteneva già il marchio iSwatch limitatamente all’ambito dell’orologeria. Benché non vi fosse esplicito riferimento agli smartwatch nella richiesta di Apple, l’ufficio brevetti britannico ha però osservato che numerosi dei beni compresi nell’elenco di Apple avrebbero potuto assumere la forma di smartwatch , insidiando quindi l’ambito coperto dalla proprietà intellettuale di Swatch: basti pensare alla complessità degli indossabili, assimilabili a veri e propri computer con hardware e software, ai wearable dedicati alla salute, inequivocabili dispositivi di monitoraggio, e alle funzioni di posizionamento, comunicazione e intrattenimento a cui uno smartwatch può assolvere.
Per questo motivo, considerata la possibile confusione presso i consumatori, le autorità britanniche hanno riconosciuto ad Apple la possibilità di registrare iWatch per applicare il marchio a software, dispositivi di sicurezza, periferiche per computer, nonché componenti e confezioni per questo tipo di beni.
Apple Watch è giunto alla seconda generazione e si sta giocando il proprio successo sul campo delle caratteristiche tecniche piuttosto che sull’appeal del marchio. L’uniformità del proprio ecosistema di iProdotti , insieme alle indiscrezioni che hanno preceduto l’avvento del proprio smartwatch, hanno decretato per Apple l’impossibilità di battezzare il proprio indossabile iWatch , marchio registrato con largo anticipo da terzi presso diversi mercati del mondo . Ma se Apple ha rinunciato formalmente alla denominazione iWatch , non sembra aver rinunciato a cavalcare la confusione che un marchio tanto prevedibile genera presso i consumatori: il tribunale di Milano ha nei mesi scorsi autorizzato Cupertino a impiegare la keyword iWatch come volano per la propria pubblicità online .
Gaia Bottà