IXP, la nuova via della seta

IXP, la nuova via della seta

Nel suo meeting romano, il Consorzio NaMeX ha illustrato una situazione statica per le infrastrutture di interconnessione italiane. E ha rilanciato l'importante questione dei cavi sottomarini, secondo i suoi dirigenti penalizzati dalla burocrazia
Nel suo meeting romano, il Consorzio NaMeX ha illustrato una situazione statica per le infrastrutture di interconnessione italiane. E ha rilanciato l'importante questione dei cavi sottomarini, secondo i suoi dirigenti penalizzati dalla burocrazia

È stata definita una nuova via della seta che dovrà rilanciare l’Italia nel mercato della connettività internazionale, sulle rotte di Asia, Africa e Medio Oriente. Si tratta delle forti aspettative del Consorzio NaMeX ( Nautilus Mediterranean Exchange Point ), che riunisce i principali operatori di rete nazionali e internazionali – tra gli altri, Telecom Italia, Wind e British Telecom – oltre ad un gruppo di ISP regionali e carrier. Nel corso di un recente convegno, quello che è l’ Internet Xchange Point ( IXP ) più a sud d’Italia ha auspicato un ruolo primario del Belpaese nella geografia dei cavi sottomarini che garantiscano connessioni ad alta qualità .

“Un po’ come per gli scali aeroportuali – ha spiegato Maurizio Goretti, CEO di NaMeX – la nostra è una corsa nel diventare un punto di riferimento, un hub per il traffico Internet verso Asia, Africa e Medio Oriente. Su questo fronte, siamo in competizione con la Francia, e se tutto il sistema Italia non prende coscienza dell’occasione che abbiamo rischiamo di perdere un’opportunità importante”.

In Italia esistono attualmente vari IXP – il MIX a Milano e appunto NaMeX a Roma – che permettono ai provider di trovare delle scorciatoie naturali per raggiungere le grandi server farm e i data center internazionali, situati spesso dall’altra parte del pianeta. Durante il sesto meeting organizzato da NaMeX si è parlato innanzitutto del lavoro degli IXP per far crescere il volume di traffico Internet nelle zone più a sud del continente europeo. Come ha raccontato Cristobal Lopez, membro di South European Internet Exchange Points ( SEIXP ), bisogna ridurre il divario con il nord europeo, ricco di condizioni più favorevoli come una grande platea di utenti e una maggiore disponibilità di banda.

Si tratta di un problema che devono affrontare i paesi del Mediterraneo, tra cui la stessa Italia, i cui IXP non godono della stessa salute dei corrispettivi europei. Stando a quanto ha illustrato Arnold Nipper, direttore tecnico di DECIX, il punto di scambio di Francoforte conta 317 membri, arrivando a toccare vette di traffico pari a 800 Gbit/s . LINX, ha spiegato il suo CEO John Souter, raccoglie 7 siti (su 10 totali) provenienti dall’area delle Docklands londinesi, per 340 membri e picchi di 750 Gbit/s di traffico dati totale.

L’Italia, poi. NaMeX ha approfittato del meeting per fare il punto su una situazione in generale piuttosto statica . L’infrastruttura nata per fornire su Roma, fresca di un memorandum of understandig con Ericsson Italia e Università di Roma Tre, conta al 2009 trentuno provider e diciassette carrier membri. Il suo bilancio, ha spiegato il direttore tecnico Francesco Ferreri, è risultato stabile rispetto al 2008, nonostante la crisi e un abbassamento di costi di banda pari al 20 per cento. I vari provider hanno mostrato un sempre più scarso interesse per le attività di peering , ha commentato Ferreri, e alcuni tra i più piccoli hanno ridotto la banda al minimo indispensabile. Agli ISP importa essere interconnessi.

Il picco massimo raggiunto dall’IXP romano è stato pari a 11,7 Gbit/s , risultato di un aumento del 7,8 per cento rispetto al 2008. È vero, tuttavia, che lo scorso anno aveva fatto rilevare un aumento ben più consistente: circa del 60 per cento. Probabilmente, ha continuato Ferreri, questo è dipeso da una scarsa mobilità del peering pubblico, privato dell’entrata in gioco di nuovi provider. Si tratta di una situazione non certo idilliaca, soprattutto se messa a confronto con quella di Praga, che negli ultimi anni ha visto NIX.CZ crescere vertiginosamente a partire da uno scenario simile a quello italiano.

Quindi, se la somma degli IXP tricolore porta ad un volume di traffico totale pari a 70 Gbit/s, il solo NIX.CZ – come mostrato dal dirigente Tomas Marsalek – ne ha generato proprio recentemente in una quantità pari a 100 Gbit/s. E non si tratta dell’unica sfida delle infrastrutture intorno a Roma. In Italia esistono tre cruciali landing station a fare da punti di incrocio dei cavi sottomarini: tutti e tre sono in Sicilia, a Palermo, Catania e Mazara del Vallo. Purtroppo, come ha chiarito a Punto Informatico Maurizio Goretti, allo stato attuale la loro valorizzazione ottimale è penalizzata più per motivi burocratici che tecnici.

Si tratterebbe di un problema legato agli investimenti e al mercato, ha continuato Goretti. “Se il sistema Italia si unisse per un’infrastruttura nazionale, allora permetterebbe alle compagnie di abbassare i prezzi, dato che stendere i cavi sottomarini costa tanto”. Uno scenario da monopolio, stando alla sua visione, costringerebbe a pagare un dazio sul cavo, come il fiorino di un vecchio film. Telecom Sparkle, in questo caso, non può addossarsi da sola il peso totale delle operazioni, mentre a suo dire in Francia il governo aiuta France Telecom per l’hub di Marsiglia. Sulla via della seta, la partita ricorda la finale mondiale di Berlino 2006.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
4 nov 2009
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