Non si può dire che le acque siano calme a Cupertino: tra voci sul possibile e auspicato di ritorno di Steve Jobs (al momento in riposo forzato per malattia) entro i tempi prefissati, e i sassi lanciati da Microsoft nello stagno dei prezzi dei computer con la mela, la discussione ferve. Al centro ci sono le solite questioni : può l’azienda sopravvivere senza il suo storico CEO al comando? E un Mac quanto costa davvero in più rispetto a un PC?
Quanto alla prima domanda, secondo lo stesso Wall Street Journal che ha dato il via al solito balletto di chiacchiere su giornali e blog, la risposta è ovvia: si può fare, Apple ce la fa anche senza Jobs ma con lui le cose vanno anche meglio. È per questo che, anche se al momento lavora da casa , il leader spirituale di Cupertino sta supervisionando tutti i progetti attuali e futuri della Mela: tra questi figurano il firmware 3.0 di iPhone appena presentato, ma pure un fantomatico nuovo dispositivo che si porrà a metà strada tra il melafonino e l’attuale gamma di notebook. Insomma, il tanto discusso netbook che in tanti appassionati sperano di vedere sugli scaffali a partire dall’autunno.
Soprattutto, comunque, il Journal sottolinea la performance del titolo di Apple in borsa a partire da gennaio: a fronte di un 5 per cento di guadagno dell’indice NASDAQ, la Mela è cresciuta di circa il 40 per cento in 14 settimane. Merito, evidentemente, delle capacità dell’attuale gruppo dirigente che fa le veci di Jobs: Tim Cook, il COO reggente, mantiene il controllo di ogni operazione come fatto negli anni addietro, gli altri leader dei rispettivi comparti portano avanti le loro attività secondo lo spirito (e visto il coinvolgimento casalingo, anche le direttive) del sovrano assente.
Infine, il quotidiano di Rupert Murdoch riporta l’opinione dei partner industriali di Apple e dei dipendenti dell’azienda: tutti confermano che le cose vanno alla grande e che non si sono visti cambiamenti rispetto al passato, il lavoro va avanti regolarmente e ci sono molti progetti in lavorazione senza particolari problematiche all’orizzonte. Nel complesso, l’articolo – privo di qualsiasi riferimento a un nome e che fa affidamento esclusivamente su segnalazioni anonime – ha tutta l’aria di essere una delle classiche fughe di notizie “pilotate”: in un modo o nell’altro, Apple ne esce molto bene e proprio con la copertura stampa che le giova in questo momento. Anche se Jobs non dovesse tornare, o dovesse tornare con un ruolo ridimensionato, la leadership attuale si avvantaggia con una iniezione di fiducia e di credibilità non da poco.
La partenza sprint dell’ultima campagna pubblicitaria di Microsoft, invece, ha subito una piccola battuta d’arresto in contemporanea al rilascio del terzo episodio della serie Laptop hunter : alle avventure di una mamma e del suo pargolo undicenne alla ricerca di un nuovo notebook da portare a casa, si contrappone un documento (sponsorizzato ufficialmente da Microsoft) che dovrebbe mettere in luce i maggiori costi di acquisto e di gestione di un computer Mac contrapposto ad un PC che monti Windows. Il problema è che, in entrambi i casi, un paio di inciampi gettano un po’ di ombra su quella che al momento resta una delle campagne pubblicitarie più riuscite di BigM negli ultimi anni.
Lisa e Jackson, i due cacciatori al lavoro di nuovo in un Best Buy, scartano come di consueto i Mac questa volta in favore di un Sony Vaio FW: peccato che, al contrario del resto del mondo, si facciano convincere dall’acquisto da una non meglio identificata passione per il formato Blu-ray . Una scelta in netto contrasto con i loro requisiti hardware (si parla di spazio disco e potenza per il gaming), e con l’orientamento di Microsoft in fatto di entertainment: la Xbox360, dopo aver preferito HD-DVD fino alla sua dipartita, ha puntato tutto sullo streaming invece che sul formato ottico ad alta definizione uscito vincente dalla sfida sul mercato.
In ogni caso, la solfa è sempre la stessa: il Mac costa di più e offre meno (come appunto riguardo al lettore Blu-ray), con un PC si risparmia. E, secondo l’analista Roger L. Kay di Endpoint Technologies Associates , la differenza di ripropone e si amplifica anche a medio-lungo termine: un Mac, secondo l’analisi di Kay, costringe i suoi acquirenti a pagare di più all’acquisto e di più negli anni successivi, per fare fronte ad una serie di spese accessorie tra estensioni di garanzia e pacchetti software (senza contare aggiornamenti hardware) che non pesano altrettanto sulle tasche degli acquirenti di PC.
Il risultato sarebbero circa 2.500 euro di differenza su un periodo di cinque anni: il problema, come sottolineano in molti in rete , è che i conti di Kay non tornano completamente . L’analista, pare in buonafede avendo lavorato alla ricerca mesi addietro, mette a confronto vecchi modelli non più in produzione di Mac con vecchi modelli oggi aggiornati di PC. Inoltre, il peso degli acquisti futuri per i Mac-user non tiene conto della futura svalutazione di alcuni beni di consumo o aggiunge dei pacchetti software e di servizi che non sono obbligatori e non vengono conteggiati nelle configurazioni PC, o che potrebbero tranquillamente essere sostituiti da alternative free.
Di conseguenza, la discussione tra i sostenitori delle due “fazioni” si è ulteriormente inasprita : la sintesi , strano a dirlo, forse arriva proprio dalle stanze limitrofe a quella da cui la ricerca è partita, vale a dire dalla divisione MacBU che si occupa dello sviluppo del software Microsoft per la piattaforma Apple. Scrive Nadyne Mielke: “Credo che affermare che esista una Apple Tax sia giusto, visto che il prezzo base di un Mac è più alto di quello di un PC. Stabilire se quella tassa valga la pena di pagarla è un bel problema, soprattutto evitando di trasformare il tutto in una guerra santa. Per il momento, non vedo nessuno disposto a farlo senza diventare idrofobico”.
Luca Annunziata