Erano 60 i jukebox digitali disseminati per le province di Udine, Pordenone, Gorizia, Trieste, Treviso e Venezia sequestrati dalla Guardia di Finanza in un’operazione del 2005. Erano 5 le persone denunciate per frode, 3 gli accusati di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla illecita duplicazione, commercializzazione e diffusione di opere protette dal diritto d’autore. Sono stati assolti. SIAE, dicono, non avrebbe saputo dare loro una tempestiva indicazione per mettere in regola un’attività animata da tecnologie che non sembrano sfuggire all’ordinario.
Era stato un finanziere di Cervignano ad insospettirsi: la natura degli apparecchi di diffusione on demand differiva rispetto a quella dei tradizionali cassettoni deputati allietare la permanenza nei locali pubblici con musica a gettone. Gli apparecchi, dotati di un ampio schermo e farciti di migliaia di brani mp3, potevano essere aggiornati con un hard disk portatile. L’ indagine della Guardia di Finanza era sfociata nel sequestro delle apparecchiature e nella denuncia dei tre gestori delle due aziende fornitrici delle macchine e di due persone che avevano incautamente acquistato gli apparecchi.
Nel mese di ottobre il giudice Emanuele Lazzàro ha assolto le cinque persone coinvolte . La motivazione della sentenza è stata ora diffusa: la ricostruzione dei fatti mostrerebbe che i cinque denunciati avrebbero agito in buona fede, brancolando nell’ incertezza relativa allo status dei macchinari sotto il profilo dei diritti.
Nel corso del processo si è chiarito che i jukebox digitali erano stati offerti in comodato d’uso gratuito agli esercenti: per quanto attiene all’assoluzione degli obblighi previsti nei confronti dei detentori dei diritti, le aziende si erano rivolte alla SIAE per ottenere chiarimenti in merito alla somma da corrispondere per poter riprodurre i brani e per concedere agli utenti di farli suonare. La SIAE si era presa del tempo per valutare la contingenza, e nel frattempo gli installatori avevano provveduto a corrisponderle quanto è dovuto per regolarizzare l’installazione e l’impiego degli ordinari jukebox.
In attesa di poter consultare la sentenza emessa dal giudice, sembra emergere che la risposta della SIAE fosse giunta a destinazione nel momento in cui la Guardia di Finanza stava procedendo al sequestro degli apparecchi. La collecting society, ha spiegato il giudice Lazzàro, “non ha mai espresso un chiaro diniego all’autorizzazione, non li ha mai formalmente diffidati dal rimuovere gli apparecchi, né ha mai denunciato il fatto alla Guardia di Finanza, che è intervenuta autonomamente”: avrebbe però chiesto 30 centesimi di euro per regolarizzare la riproduzione di ciascun brano archiviato negli apparecchi. La cifra è stata ritenuta spropositata dagli installatori. Si erano dunque messi in moto per ritirare i jukebox e porre fine ad un’attività che si sarebbe rivelata poco fruttuosa. Un’attività in cui è probabile che degli imprenditori non si sarebbero avventurati, se avessero conosciuto in anticipo le condizioni in cui avrebbero dovuto operare, se avessero saputo di doversi muovere in un quadro normativo che sembra non saper stare al passo con tecnologie e opportunità che scalpitano e avanzano.
Gaia Bottà