È giunto a conclusione il lavoro del giornalista freelance Mark Harris incaricato da Kickstarter di investigare sulle cause e sulle circostanze del fallimento di Zano, che prometteva droni in grado di volare e scattare in automatico foto del proprio controllore .
Zano incarnava l’idea di un “UAV personale” in grado di scattare selfie e volare in completa autonomia e per questo aveva attirato talmente l’attenzione degli utenti che il crowdfunding che lo vedeva protagonista ha fatto il botto raccogliendo ben 2,3 milioni di euro: il più grande risultato mai raggiunto da un progetto europeo . Diversamente da quanto si aspettavano i supporter, tuttavia, una volta terminate le offerte la società britannica di Zano, Torquing Group, è fallita: i primi 600 droni spediti a chi aveva versato i suoi soldi all’iniziativa sono risultati essere di pessima qualità e molto lontani dalle capacità decantate dagli organizzatori del crowdfunding e le critiche hanno naturalmente finito per coinvolgere anche Kickstarter che ha commissionato un’inchiesta giornalistica per chiarire cosa fosse successo.
Il problema è nell’ambiguità di Kickstarter, che non è una piattaforma che vende prodotti e che quindi offre garanzie di un certo tipo, bensì uno spazio dove raccogliere fondi per progetti ancora da realizzare che, in quanto tali, non garantiscono sul prodotto finale ma che si basano in un certo senso semplicemente sul fatto di avere un’idea interessante: pertanto gli utenti che investono soldi su progetti Kickstarter sono investitori e non veri e propri clienti. I progetti sono scommesse che i sostenitori scelgono di fare assumendosene tutti i rischi. E in quanto investitori, anche i sostenitori di Zano non potranno ricevere le tutele garantite ai consumatori dalla normativa britannica .
Anche per questo Kickstarter l’anno scorso ha iniziato a cambiare le sue regole, prima cercando di chiarire obblighi e rischi poi introducendo meccanismi di controllo sui progetti sottoposti al suo pubblico, che tuttavia hanno per esempio dato luce verde a Zano, contrassegnandolo anche come “scelto dalla redazione”. Per lo stesso motivo, poi, le autorità sia europee che statunitensi hanno iniziato ad interessarsi alla questione del crowdfunding ed in particolare alle conseguenze di una campagna che pur raggiungendo il suo obiettivo non riesce a concludere la produzione del prodotto promesso.
In attesa che le autorità regolino la situazione, e per non rischiare di registrare un gap di fiducia che sarebbe fatale per il suo business, Kickstarter ha cercato di affrontare il caso Zano affidando la ricerca sulle cause del suo fallimento ad Harris che, pur non essendo riuscito ad ottenere testimonianze ufficiali di qualcuno all’interno di Torquing Group , ha cercato di individuare le cause principali del fallimento. Secondo Harris, Zano era fuori dalla portata dell’azienda che ha commesso una serie di errori strategici, in particolare quello di “saltare completamente la previsione di un programma pilota tentando direttamente di andare in piena produzione”.
Inoltre, due ingegneri di Torquing i cui nomi restano riservati affermano che “la parola rischio non era affato contemplata e nei primi mesi dopo la campagna Kickstarter ci consideravamo già vincenti”.
Harris, d’altra parte, non manca di gettare la croce in parte su Kicstarter, diventata col tempo da posto dove si potevano trovare piccoli progeti agli albori, una piattaforma dove vengono offerti prodotti quasi alla fine della loro produzione, o che almeno appaiono come tali. Da un lato questa è la volontà del sito di crowdfunding, che vuole progetti in grado di creare aspettativa, dall’altro è questo sentimento di fiducia che col tempo si è creato che ha spinto gli utenti a dare fiducia anche a progetti più ambiziosi per cui, forse, ci sarebbero da fare riflessioni più ragionate .
Inoltre, Harris contesta a Kickstarter ed al suo team addetto alla selezione tecnica dei progetti, nonché indirettamente agli investitori che hanno deciso di credere in Zano, il fatto che già nel video di presentazione del loro prototipo ci fossero gli indizi di un progetto in alto mare: esso mostrava il drone in azione prima in un pub dove scattava una foto volante del suo proprietario, poi mentre lo seguiva mentre pedalava in mountain bike, tuttavia un’attenta analisi avrebbe fatto intuire come si trattasse di foto scattate da un fotografo professionista e riprese effettuate con una qualità mai promessa dal drone. Infine non vi erano riprese continue del drone in azione ed addirittura sarebbero presenti nel video di presentazione, a ben guardare, atterraggi frutto di riprese di decolli mandanti all’incontrario. Abbastanza indizzi, insomma, per giustificare l’assunzione di un esperto di montaggi per valutare quale parte fosse genuina e quale no.
Tuttavia, come ha spiegato un portavoce di Kickstarter a commento di tali osservazioni, “alla fine sta ai supporter valutare la genuinità di un progetto anche perché a livello pratico alcuni livelli di manipolazione sono destinati a passare”.
Claudio Tamburrino