Mentre Amazon, sul quale pende un’azione legale con relativa accusa di aver “rubato” il concetto del Kindle, tenta di vendere più libri digitali (anche grazie allo sbocciato amore con iPhone), la concorrenza si arma e tenta di guadagnare terreno battendo l’unica strada che non sembra interessare al distributore di contenuti: fornire libri in maniera gratuita. Così, in una sola mossa, Sony raggiunge un accordo con Google per avere oltre mezzo milione di libri in pubblico dominio, mentre Random House e Simon & Schuster insieme ad altri si accasano su Scribd e sposano la causa degli e-book gratuiti.
Quella che va preparandosi è una concorrenza più che mai agguerrita: nelle scorse ore Sony ha annunciato di aver trovato un’intesa con Google per far arrivare sul reader della casa nipponica oltre mezzo milione di libri in pubblico dominio , raccolti e scansionati in quasi 5 anni da BigG. L’accordo tra le due aziende porterà sugli schermi digitali titoli pubblicati su supporti cartacei prima del 1923, svincolati da certi obblighi previsti dal regime del copyright. Nonostante in questa selezione non possano essere inclusi, com’è ovvio, gli ultimi best seller, la collezione di Google è più che degna di rispetto poiché contenente opere di grandi scrittori del passato prossimo.
L’idea di combinare un mezzo che va diffondendosi sempre di più ad un servizio gratuito, che può far scoprire a costo zero grandi pagine di storia letteraria, può essere vincente. In ogni caso le due aziende hanno mantenuto uno stretto riserbo sui dettagli economici dell’accordo. Grazie a questa mossa, Sony ha doppiato in un sol colpo l’intera dotazione di titoli detenuta da Amazon, che comunque ci tiene a sottolineare di aver operato le scelte per il suo parco libri seguendo i titoli di maggior interesse tra il pubblico consumer.
Per Sony, invece, la carta vincente sembrerebbe essere quella di un vastissimo archivio in grado di accontentare le esigenze di tutti: “i nostri sforzi si sono concentrati nell’offrire una piattaforma aperta, facile da consultare e con il maggior numero di contenuti possibile a disposizione dell’utente” dichiara Steve Haber, presidente della divisione business digital reading di Sony. “Ci piacerebbe continuare a lavorare con Google – continua – per riuscire a capire in che modo possiamo ampliare la proposta di contenuti per i possessori del Reader”.
Intanto, Random House , uno dei maggiori editori statunitensi, torna sui suoi passi dopo aver bocciato nel lontano 2001 gli e-book definendoli poco interessanti per il mercato di allora: insieme ad altre compagnie del settore dell’editoria, tra cui anche Simon & Schuster , la casa editrice ha stretto un accordo con Scribd , piattaforma dedicata al document-sharing. Un accordo volto a portare in digitale e per intero alcuni dei suoi best seller . Il tutto, in maniera gratuita. Alla base dell’accordo e, ancor prima, del ripensamento di Random House, vi sarebbe l’inaspettata positività dell’esperienza accumulata veicolando sul web contenuti privi di restrizioni ed in maniera gratuita: “quando abbiamo deciso di effettuare promozioni rendendo disponibili gratuitamente alcuni libri abbiamo notato un massiccio riscontro di utenti della blogosfera che ne parlavano in maniera positiva, facendo arrivare i titoli in questione sotto gli occhi di molta più gente” dichiara Matt Schwartz, direttore delle strategie digitali di Random House.
Compreso l’enorme potenziale, i vertici dell’azienda hanno deciso di puntare maggiori risorse sulla diffusione telematica che, anche se ancora lontana dall’essere un vero e proprio business model, viene vista come ottimo mezzo per veicolare contenuti, carpire gusti e tendenze e far crescere il proprio nome . Tra le speranze dell’azienda vi sarebbe, infatti, quella di arricchire ulteriormente i contenuti digitali offerti in modo da renderli un vero motore in grado, grazie anche all’aiuto di social media come Twitter, di far aumentare le vendite sia di altri contenuti digitali a pagamento che di libri cartacei. La scelta di Scribd non è un caso: dal momento che gran parte delle strategie sono basate sulla visibilità offerta dalla rete, Random House e compari hanno deciso di puntare su un sito ritenuto tra i più popolari fra i social media dell’intera rete.
Per Amazon, forse, sarebbe giunto il momento di guardarsi le spalle: è ormai innegabile che l’uscita della seconda generazione di Kindle sia stata accompagnata da alcuni grattacapi che l’azienda avrebbe di sicuro voluto risparmiarsi. Prima tra tutte, la vicenda che ha visto progressivamente ammutolirsi il dispositivo a pochissimi giorni dalla sua presentazione: come ricorderanno i lettori di Punto Informatico alcuni editori hanno messo sulla gogna il Kindle per via della funzionalità text-to-speech, accusata di rendere il dispositivo un audiolibro privo delle necessarie licenze per la riproduzione. Amazon alla fine ha ceduto, lasciando carta bianca agli editori.
Come se non bastasse, è di queste ore la notizia che vede Amazon trascinata in tribunale da parte di Discovery Communications , compagnia che detiene l’omonimo canale satellitare. Amazon avrebbe violato un suo brevetto realizzando il Kindle. Il brevetto in questione risalirebbe al 1999 e sarebbe registrato a nome di John Hendricks, fondatore della compagnia. Dal documento depositato in tribunale, Discovery chiede un non meglio specificato compenso monetario ad Amazon per aver violato la sua proprietà intellettuale in entrambe le versioni del Kindle, in quanto utilizzerebbe tecnologie per la “sicurezza nella distribuzione di contenuti testuali e grafici agli abbonati e sicurezza nell’archiviazione”. Non solo: nel disegno illustrativo posto a corollario del brevetto, alcune icone richiamerebbero alcune delle attuali funzioni del reader di Amazon.
Contrariamente a quanto sarebbe possibile ipotizzare, Discovery non ha chiesto la messa al bando del dispositivo. La questione sulla quale la corte è chiamata a decidere sembra non essere delle più facili: il brevetto è stato depositato nel ’99, ma la lunga burocrazia ha portato alla sua approvazione solo nel 2007. Secondo quanto ipotizzato da Tech Blorge , la corte potrebbe anche decidere che i concetti espressi sul brevetto di Discovery siano ampi al punto che la somiglianza di alcune caratteristiche non basterebbe a configurare una vera e propria violazione. Inoltre, Amazon potrebbe spuntarla anche nel caso riuscisse a dimostrare davanti alla corte che le caratteristiche incriminate siano leggermente diverse dalla formulazione racchiusa nel brevetto di Discovery. Al momento, l’azienda si è asserragliata nel silenzio stampa e non rilascia dichiarazioni in merito.
Vincenzo Gentile