Londra – L’uso indiscriminato delle tecnologie di Digital Rights Management (DRM) sta subendo le cannonate del management della British Library , la biblioteca centrale britannica, una delle maggiori istituzioni culturali del mondo. I sistemi anticopia che sono oggi impiegati sulla quasi totalità dei contenuti digitali offerti al pubblico, spiegano i responsabili della Library, di fatto violano le leggi sul diritto d’autore .
In primo piano, secondo Lynne Brindley, chief executive dell’istituzione inglese, è l’assenza di un limite temporale del DRM. Su cnet Brindley spiega : “In assenza di un sostanziale aggiornamento delle leggi sul diritto d’autore, che riconoscano le mutate condizioni tecnologiche, la legge diventa un ostacolo. Il DRM è un dispositivo tecnico, ma viene usato in un senso troppo ampio. Non si può aggirare per consentire l’accesso ai disabili o la conservazione, ed è una tecnologia che non scade, come invece fa il diritto d’autore. In effetti, viola le eccezioni previste dalla legge sul diritto d’autore”.
Secondo la Library non si tratta certo di un problema britannico : il DRM associato alle enormi rivoluzioni nella diffusione della cultura grazie ad Internet coinvolge tutti, quantomeno da subito tutti i paesi ricchi. “Questo è un problema globale e internazionale – sottolinea Brindley – Dobbiamo avere gli stessi equilibri che ci sono con i testi stampati tradizionali. Dobbiamo trovare una via che garantisca la remunerazione degli autori ma anche che il bene pubblico sia preservato”.
Le uscite di Brindley non arrivano per caso: la Biblioteca britannica si è fatta esplicitamente portavoce di preoccupazioni condivise in molti paesi e a molti livelli proponendo la sua autorevolezza indiscussa come faro per pervenire ad un cambiamento sostanziale nell’uso e nella concezione del DRM. Ha infatti appena pubblicato il suo IP Manifesto , un documento “rivoluzionario” sulla proprietà intellettuale (IP). Che ieri è stato presentato alla convention del Labour, il partito del premier inglese Tony Blair, in un evento a cui hanno partecipato tra gli altri esponenti dell’industria musicale, leader tecnologici come Google e Microsoft, i consumatori ed esperti di diritto. Per dirla ancora con Brindley: “L’attuale battaglia sulla proprietà intellettuale minaccia l’innovazione, la ricerca e la nostra eredità digitale”. “Ad esempio – sottolinea – oggi la legge non consente di copiare suoni o film per la conservazione. Se si toglie alle biblioteche o agli archivi il diritto di fare copie, il Regno Unito rischia di perdere buona parte della propria cultura registrata”.
Nella nota di lancio del Manifesto, Brindley spiega che questo serve a chiarire come la Library “in quanto editore, capisce le opportunità e le minacce rappresentate dal digitale per l’industria dell’editoria, e in quanto una delle maggiori biblioteche del mondo, è ugualmente attenta alla minaccia che una normativa IP fortemente restrittiva, o non sufficientemente chiara, pone alla creatività e all’innovazione”. E non è un’iniziativa estemporanea : “Il nostro Manifesto IP configura il ruolo unico che la Biblioteca Nazionale britannica deve giocare sia come voce guida che come parte in causa nel dibattito che la rivoluzione digitale ha generato”.
Pochi e chiari i punti chiave del Manifesto (disponibile qui in PDF):
– Le attuali eccezioni e limitazioni previste dalle leggi sul diritto d’autore devono essere estese affinché comprendano senza ambiguità anche il mondo digitale;
– Le licenze che forniscono accesso ai materiali digitali non possono cancellare eccezioni e limitazioni da sempre invalse come il fair dealing (ovvero la copia non autorizzata a fini di studio, ricerca, critica o segnalazione senza scopi commerciali);
– Il diritto di copiare materiali a fini di conservazione, un dovere essenziale per tutte le biblioteche centrali, dovrebbe essere esteso a tutte le opere protette da diritto d’autore;
– La durata del diritto d’autore per le registrazioni audio non dovrebbe essere estesa senza una prova empirica dei benefici che ciò comporta e senza la dovuta considerazione delle esigenze della società nel suo complesso;
– Adottare il modello americano per gli orphan works , ossia le opere di cui è impossibile individuare l’autore, consentendone dunque la riproduzione a fini non commerciali;
– La durata del diritto d’autore per opere non pubblicate dovrebbe essere posta in linea con altre già previste (ad esempio: 70 anni dopo la morte).