A rivelarlo è stato un lungo articolo pubblicato tra le pagine online del quotidiano statunitense Wall Street Journal . Un campione selezionato di 101 applicazioni mobile trasmetterebbe in maniera silente dati personali degli utenti che siano in possesso di un iPhone o di uno dei device basati su Android .
Applicazioni selezionate tra le più popolari in circolazione, in primis legate al settore videoludico ma anche musicale. Delle 101 app prese in considerazione dal Wall Street Journal , più della metà sembrano aver trasmesso dati specifici come quello relativo allo unique device identifier (UDID) del singolo smartphone .
Queste ed altre informazioni – ad esempio quelle relative alla feature di geolocalizzazione – verrebbero dunque inviate dalle app verso i database di aziende terze, che sia il singolo produttore del software o network pubblicitari . L’inchiesta del WSJ pare non essere riuscita a stabilirlo con certezza.
Tra le app spifferone è comunque rientrata quella del servizio musicale Pandora, che – nella versione per iPhone – invierebbe i dati dell’utente a “otto tracker”. A sette di questi verrebbero trasferite informazioni relative alla localizzazione. L’app di Pandora procederebbe poi all’invio di dati demografici e addirittura di numeri di telefono, password e lista dei contatti .
Qualcuno ha storto il naso tra lo scetticismo generale. Il grado di accuratezza dell’inchiesta è stato infatti criticato: a chi andrebbero precisamente i dati? Il software generalmente utilizzato dalle aziende pubblicitarie garantirebbe un livello molto alto di anonimizzazione delle informazioni. Altro discorso per chi ha sviluppato l’app o non meglio specificate aziende terze.
Il WSJ è stato poi criticato per aver sottolineato come fosse impossibile impedire il trasferimento dei dati su iPhone. Un errore, visto che le impostazioni del Melafonino permettono all’utente di bloccare l’invio di informazioni geolocalizzate . Secondo l’inchiesta, sarebbero proprio gli utenti di iPhone a rischiare di più.
Mauro Vecchio