Roma – Non si può prelevare una porzione del codice software di un programma e riutilizzarla per realizzare in proprio un altro software. Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, dando maggiore spessore ad un aspetto delle attuali normative sul diritto d’autore che è stato raramente approfondito, sebbene interessi naturalmente intere orde di sviluppatori.
Secondo la Suprema Corte, dunque, si incorre nel reato di duplicazione abusiva di software e violazione del diritto d’autore qualora si utilizzi per un proprio programma una porzione del codice realizzato in precedenza da qualcun altro.
Tutto questo, però, con la specificazione, assolutamente decisiva, secondo cui il reato esiste soltanto se quella porzione di codice ha i caratteri di completezza e funzionalità autonoma necessari ad essere riconosciuta come “originale”.
Il caso giudicato dalla Corte, che ha prodotto questa sentenza, era relativo ad un programmatore che ha cambiato società e in questo “spostamento” ha portato con sé una porzione di codice ritenuta “importante”. Gli applicativi sfruttati dalla ditta per cui lavorava precedentemente, dunque, secondo la Corte sono stati riutilizzati illegalmente per la produzione di nuovo software in violazione, appunto, della normativa sulla proprietà intellettuale.