Il fronte unico delle net company americane dinanzi alle critiche per le loro avventure cinesi si sta incrinando? C’è chi lo pensa, ascoltando due dichiarazioni di Google e Yahoo che denunciano approcci diversi. Google sostiene la necessità di ricercare nuove vie per difendere la libertà di parola, Yahoo! si limita a dichiarare che tutti devono seguire le leggi del paese in cui si trovano, cinesi compresi.
Eric Schmidt, CEO di BigG, ripropone la sua vecchia idea, ossia considerare il blocco di informazioni non gradite ai sistemi di potere come un ostacolo di natura economica e un limite al commercio di beni. “La Rete ha creato questo incredibile insieme di mercati liberi e competizioni aperte – ha detto Schmidt – E abbiamo bisogno di mantenerli liberi e aperti”. Più informazioni e opinioni circolano in rete più è necessario difenderne la libertà di circolazione, sostiene Schmidt, secondo il quale “si potrebbe ad esempio considerare la censura della rete come un ostacolo al commercio”, visto che ci sono paesi che controllano la rete per controllare la popolazione, e dunque la piena fruizione dei diritti civili, e di quelli di consumatore.
Quello di Schmidt è un approccio attivo con il quale Google giustifica le sue mosse in Cina e, allo stesso tempo, demanda ad un intervento politico la soluzione del problema. Nulla di nuovo, è un’idea già espressa pubblicamente in passato dalla società, che ha esortato il governo americano a fare pressioni di natura commerciale perché le informazioni – l’unità di scambio fondamentale nell’attuale società globalizzata – circolino libere in rete senza restrizioni di sorta. Nel frattempo BigG coopera con il regime cinese e pratica l’autocensura dei contenuti per operare in un mercato che non vuole abbandonare.
La versione cinese del motore di ricerca di BigG è menomata dal compromesso con gli obblighi di legge locali, ma secondo Rachel Whetstone, portavoce europeo di Google, non c’è inconsistenza tra le due linee guida: “Poiché abbiamo l’obbligo di rispettare la legge locale – sostiene Whetstone – ci sono certe informazioni che siamo obbligati ad escludere dai link raggiungibili dalla Cina. Ciò comunque non significa agire in maniera incompatibile con la libertà di parola”. Il miglior approccio possibile in Cina per Google passa per un coinvolgimento pieno delle big corporation di rete piuttosto che per l’allontanamento dal mercato asiatico. Se l’1% delle informazioni viene rimosso, quel 99% rimanente, per quanto la cosa non vada giù a molti, è una motivazione sufficiente per restare .
Simile la linea di condotta di Yahoo!, che però ha un carattere di passività che l’allontana da Google. Il portalone americano, già costretto a difendersi dalle accuse di aver contribuito all’imprigionamento dei dissidenti Wang Xiaoning e Shi Tao , si limita a dichiarare che agisce nei limiti della legge locale. Le informazioni consegnate dalla società al governo cinese sono state chieste “da un governo legittimo nel corso della raccolta di prove in relazione ad una indagine in corso”, sostiene la società di fronte alle accuse dei due dissidenti.
Yahoo! non sembra temere la fortissima pressione mediatica cresciuta attorno a questi casi e insiste: le informazioni fornite a Pechino non sono state fondamentali per gli arresti. Non solo: Yahoo! attacca i querelanti, gente perseguita per le proprie idee, perché avrebbero dovuto sapere che il loro utilizzo dei servizi del motore di ricerca è illegale in Cina . “I diritti di libertà di parola come li concepiamo negli Stati Uniti non sono legge in Cina” taglia corto Yahoo!, ribadendo come ogni nazione sovrana abbia tutto il diritto di regolare tale libertà come meglio crede all’interno dei propri confini .
Alfonso Maruccia