La Cina ferma Foursquare

La Cina ferma Foursquare

Il servizio di location sharing nelle mire del governo di Pechino. Utilizzato come strumento per commemorare la strage di Piazza Tiennamen
Il servizio di location sharing nelle mire del governo di Pechino. Utilizzato come strumento per commemorare la strage di Piazza Tiennamen

La folla a Piazza Tiennamen non piace al governo cinese, neanche se riunita virtualmente attraverso Foursquare, il social network che ha fatto della geolocalizzazione un gioco a premi. Ora, a cavallo dell’anniversario delle proteste, è stato bloccato dagli ISP cinesi in seguito a un ordine emanato da Pechino.

La Cina e Internet hanno sempre intrattenuto rapporti travagliati, peggiorati negli ultimi tempi dopo l’introduzione di Green Dam, un apparato attraverso cui il governo filtra i contenuti giudicati sgraditi oppure osceni. Tuttavia la vita del netizen cinese potrebbe essere meno dura di quanto si pensi: esistono diversi stratagemmi per eludere la sorveglianza governativa e Wen Yunchao, un blogger cinese esperto in materia, ha dichiarato che chi, ad esempio, vuole collegarsi ai siti pornografici bloccati in toto da Pechino lo fa senza problemi. L’utilizzo di proxy è la norma e lo dimostrerebbe il numero di contatti giornalieri di Xinqu , che dopo essere sfuggito alle maglie della censura non ha visto crescere a dismisura il numero di utenti.

Lo scorso anno, sempre in occasione dell’anniversario della strage di Piazza Tiennamen, vennero bloccati temporaneamente Facebook e Twitter per tentare di occultare le proteste dei cittadini della regione dello Xinjiang, concluse con migliaia di arresti. Più recentemente invece erano stati il Pakistan e il Bangladesh a scagliarsi contro le piattaforme sociali, stavolta però per la presenza su un gruppo di Facebook di alcune immagini di Maometto, ritenute blasfeme secondo la dottrina islamica, fortemente iconoclasta.

Sempre per contenuti sgraditi è stato recentemente imposto a YouTube un nuovo blocco dalle autorità turche. La motivazione è quella oramai storica , ovvero la presenza di video ritenuti lesivi dell’immagine di Mustafa Kemal Ataturk, ritenuto il padre fondatore della Turchia moderna. Questa volta però il tentativo sarebbe risultato più goffo rispetto ai precedenti, bloccando un ampio di range di IP appartenenti a Google e portando alla sparizione o al rallentamento di servizi “innocenti” come Google Translate, Docs, Analytics e molti altri.

Giorgio Pontico

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Pubblicato il
7 giu 2010
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